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L’arma del gas, dimezzati a gennaio i flussi Gazprom

Depositi e transito ai minimi, la strategia di Mosca per spaventare l’Europa

Una mappa del gas su un container (Keystone)
2 febbraio 2022
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Vladimir Putin ha sempre sostenuto, e continua a sostenere, che l’Unione Sovietica prima e la Russia poi si sono sempre dimostrati un fornitore di energia “affidabile” per l’Europa e che i flussi non si sono mai fermati, nonostante i periodi di tensione tra i due blocchi. Il che è vero. Ma in un sistema economico altamente integrato, basta la volatilità a causare gravi danni. Cioè quanto sta accadendo ora. L’Ue accusa apertamente Mosca di usare il gas come “un’arma”, infrangendo dunque quel ‘patto fra gentiluomini’ che legherebbe a doppio filo l’Europa (consumatrice) alla Russia (produttore). Putin nega. Ma i dati raccontano altro.

‘Contratti rispettati’

Gazprom, il colosso del gas, assicura che i contratti con i suoi clienti europei vengono “rispettati in pieno”. Eppure l’European Union Agency for the Cooperation of Energy Regulators (ACER) mostra chiaramente che nel trimestre ottobre-dicembre 2021 i flussi di metano russo verso l’Ue sono calati, rispetto 2020, del 24%. Non solo. La stessa Gazprom rivela che a gennaio, in pieno inverno, in piena crisi energetica, le esportazioni verso l’Ue sono crollate del “41,3%” se paragonate al 2021.

La commissaria Ue all’Energia Kadri Simson nota poi che i gasdotti russi viaggiano a una capacità “del 50%” più bassa della media e che i depositi Gazprom sono pieni “al 16%”. Dunque qualcosa non torna. Il dettaglio indiavolato è presto svelato: da una parte ci sono i contratti a lungo termine (graditi dal Cremlino) e dall’altra il mercato spot, soggetto alle leggi della domanda-offerta (incoraggiato dalla Commissione per favorire la competizione e la trasparenza). Ecco, la Russia, nel momento del bisogno, non avrebbe aperto i rubinetti per vendere sullo spot, facendo schizzare i prezzi.


Un impianto del gas a Volvovets, in Ucraina (Keystone)

Attese risposte

La Commissione ha già aperto un’indagine per capire se Gazprom ha violato le regole della concorrenza e sta aspettando che il colosso russo fornisca la risposta ad alcune domande precise. Sia coma sia, resta immutato (spot o no) che il metano di Putin, in gran parte, arriva in Europa coi gasdotti. E qui si apre un’altra questione. Ovvero il rapporto coi Paesi di transito.

L’Ucraina chiede il rispetto del suo ruolo (geografico) e di non essere tagliata fuori da rotte alternative, come il Nord Stream 2. Ma il gas che passa dall’Ucraina costa di più - perché si paga il transito a Kiev - e inoltre lo fa attraverso una struttura vetusta e poco manutenuta. “Se aumentiamo la pressione il gasdotto esplode”, ha ammonito Putin a dicembre. Morale. Le forniture - dati del Bruegel - sono rimaste più o meno stabili, o persino aumentate, attraverso il Nord Stream e il TurkStream (dunque le rotte nuove) e invece sono crollate in Bielorussia e Ucraina.

Messaggio chiaro

Insomma, la Russia sembra lanciare un messaggio chiaro: il gas è suo e vuole avere voce in capitolo nel modo in cui lo vende all’Europa, specie ora che (lo dice la stessa Ue) da qui al 2030 la domanda crescerà e il metano servirà alla “transizione” verso le emissioni zero. Ma il rischio, per Putin, è di ‘alienare’ il suo cliente maggiore, ottenendo persino l’effetto contrario: un distanziamento dell’Europa dal gas russo. Se potrà permetterselo, però, è ancora da capire.

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