Estero

Israele-Amnesty: ‘Apartheid a chi?”

Tel Aviv accusa l’Ong di antisemitismo in risposta a un dettagliato dossier sui crimini sistematici commessi da Tel Aviv nei confronti dei palestinesi

Un bambino palestinese davanti a due soldati israeliani a Hebron (Keystone)
1 febbraio 2022
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Apartheid sembrava una di quelle parole destinate a rimanere impigliate nel Novecento, buona per i libri di storia e come memento. Associata immediatamente alla parabola di Nelson Mandela e al Sudafrica, in cui la stragrande maggioranza nera veniva soggiogata da una minoranza bianca, si fatica ad applicare ad altri contesti, come se quel modello fosse unico e non replicabile, un incidente a sé. Proprio come la parola stessa, apartheid, termine emerso dalla lingua afrikaans, quella usata dai conquistatori bianchi dell’Africa meridionale.

Amnesty International non ha paura ad appiccicare quell’etichetta infamante riguardo alla politica israeliana nei confronti dei Palestinesi che vivono nello stato ebraico, Cisgiordania o Gaza che sia.


L’arresto di un palestinese (Keystone)

Rissa preventiva

Già lunedì erano volati i primi stracci tra la Ong e Israele, che – preavvisato del contenuto del dossier di 182 pagine presentato poi ieri a Gerusalemme est – aveva messo subito le mani avanti accusando Amnesty International di “antisemitismo”, un riflesso pavloviano che Tel Aviv proprio non riesce a tenere a freno quando qualcuno devia dalla sua granitica e inattaccabile autonarrazione dei fatti. Il rapporto non sarebbe solo antisemita, dunque, ma “falso e parziale“, un modo di dare voce “alle bugie delle organizzazioni terroristiche“ secondo il ministro degli Esteri Yair Lapid. Un politico con un passato, nemmeno troppo lontano, da giornalista. Un lavoro che presuppone la verifica dei fatti.


Yair Lapid (Keystone)

Tant’è, secondo Lapid, Amnesty non è più una struttura “rispettata” ma solo “un’altra organizzazione radicale che echeggia propaganda senza un serio esame”. “Israele - ha aggiunto - non è perfetto, ma è una democrazia imperniata sulla legge internazionale e aperta all’indagine, con una stampa libera e una forte Corte Suprema”. “Amnesty non definisce la Siria, dove il regime ha ucciso più di un milione e mezzo dei suoi stessi cittadini, uno stato dell’apartheid. E neppure l’Iran o altri regimi sanguinari del mondo. Solo Israele”. Che ci siano altri crimini orrendi in Medio Oriente e in giro per il mondo, nessuno lo nega. Ma l’apartheid è un crimine specifico, buttare tutto nello stesso calderone fingendo di non sapere di cosa si sta parlando (o ignorarlo, che è forse peggio) sembra una tattica di basso livello.

Il richiamo all’Olocausto

Il ministero degli Esteri ha aggiunto quel tocco di autocommiserazione che non deve mai mancare in ogni lamentela col timbro di Tel Aviv: “A breve distanza dal Giorno della Memoria apprendiamo di nuovo che l’antisemitismo non è solo una parte della storia, ma sfortunatamente è parte della realtà di oggi”. Amnesty userebbe “doppi standard e demonizzazione per delegittimare Israele. Queste sono le esatte componenti di cui è fatto l’antisemitismo moderno”. Centrando un po’ meglio il significato di apartheid, alcuni analisti hanno tuttavia ricordato che dell’attuale maggioranza di governo in Israele fa parte anche Raam, partito arabo di ispirazione islamica. “Il rapporto - era stata la conclusione del ministero - consolida e ricicla bugie, inconsistenze e asserzioni non provate che originano da ben conosciute organizzazioni di odio contro Israele. Ripetere queste bugie non le fa vere ma piuttosto rende Amnesty illegittima”.


La consegna di un documento d’identità provvisorio a un palestinese (Keystone)

Accuse documentate

Ma cosa c’è scritto nel dossier della Ong Premio Nobel per la Pace da far infuriare così tanto Israele? Accuse, documentate, che vanno dalle requisizioni di terre e proprietà alle uccisioni illegali, dai trasferimenti forzati alle drastiche limitazioni di movimento, oltre al diniego della nazionalità e della cittadinanza. Tutti elementi di un sistema - scrive Amnesty - “che costituisce apartheid secondo il diritto internazionale”. A tal proposito si fa riferimento allo Stato di Roma e alla Convenzione sull’apartheid e si chiede al Tribunale penale internazionale (Tpi) di includere il crimine di apartheid nella sua indagine sui Territori palestinesi occupati, così da esercitare la giurisdizione universale “per portare i responsabili di crimini di apartheid di fronte alla giustizia”.

“Il nostro rapporto rivela la reale portata del regime dell’apartheid di Israele. Che vivano a Gaza, Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti. È chiaramente apartheid” ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, che ha proseguito: “Non vi è alcuna giustificazione possibile per un sistema costruito sull’oppressione razzista istituzionalizzata e prolungata di milioni di persone. L’apartheid non ha posto nel nostro mondo e gli Stati che scelgono di essere indulgenti verso Israele si troveranno a loro volta dal lato sbagliato della storia”. A proprio supporto Amnesty cita documenti di altre Ong palestinesi, internazionali e anche israeliane.


Insediamenti israeliani in Cisgiordania (Keystone)

“L’uccisione illegale di manifestanti palestinesi è forse la più chiara illustrazione di come le autorità israeliane ricorrano ad atti vietati per mantenere lo status quo. Nel 2018 i palestinesi di Gaza hanno iniziato a tenere proteste settimanali lungo il confine con Israele…a fine 2019, le forze israeliane avevano ucciso 214 civili, inclusi 46 minorenni”. Seguono altre cifre, soprusi, indagini su alcune situazioni fumose e su altre – al contrario – chiarissime, incontrovertibili, lapidarie. Non per Lapid.

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