Estero

Aumenta la pena per Yury Dmitriev, storico dei Gulag

Impegnato a documentare i crimini del regime sovietico, si è visto alzare il periodo di detenzione da 13 a 15 anni per presunti abusi sulla figlia adottiva

Yury Alexeyevich Dmitriev (foto: Mediafond)
27 dicembre 2021
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La Russia conferma il pugno di ferro contro Yury Dmitriev, uno dei maggiori storici dei Gulag, da sempre impegnato a documentare i crimini del regime sovietico. Un tribunale di Petrozavodsk in Carelia, nel Nord-ovest del Paese, ha aumentato da 13 a 15 anni di carcere la condanna dello studioso per presunti abusi sessuali sulla figlia adottiva, in un processo molto controverso che secondo i suoi sostenitori è stato orchestrato per punirne le denunce dei massacri staliniani. Un caso che va avanti da anni tra le polemiche, sullo sfondo della celebrazione patriottica e idealizzata da parte del Cremlino delle conquiste dell’Urss, esaltando la sconfitta del nazismo ma ignorando in sostanza le Grandi purghe e i crimini del regime.

La sentenza di oggi costituisce l’ultimo passo di questa lunga vicenda giudiziaria. I guai per Dmitriev erano iniziati nel 2016, quando fu arrestato con l’accusa di pedopornografia dopo la scoperta di alcune foto della figlia undicenne nuda, che secondo la sua difesa servivano a documentarne il processo di crescita. Fu assolto nel 2018, ma dopo appena due mesi la Corte Suprema della Carelia accolse un ricorso della pubblica accusa, permettendo così l’apertura di una nuova inchiesta nei suoi confronti. Dopo una prima condanna a 3 anni e mezzo, nel 2020 i giudici gli avevano inflitto 13 anni.

Lo storico, oggi 65enne, si è sempre dichiarato innocente. Al suo fianco, denunciando una persecuzione di matrice politica, si sono schierati nel tempo attivisti locali e figure di spicco del mondo della cultura, tra cui le Nobel per la letteratura Svetlana Alexievich e Herta Muller, entrambe testimoni del potere sovietico nell’Europa dell’Est. Ma anche l’Unione europea ha espresso più volte preoccupazione per la sua condanna, chiedendo alla giustizia russa di “fare marcia indietro” e parlando di accuse che “sembrano essere collegate al suo lavoro sui diritti umani e alla sua ricerca sulla repressione politica durante il periodo sovietico”. Pressioni che ancora oggi il Cremlino ha respinto, derubricando il caso come una semplice vicenda giudiziaria.

Per trent’anni Dmitriev ha lavorato per ricostruire la storia degli oppressi sotto l’Urss. Il suo più grande merito è probabilmente quello di aver scoperto una fossa comune con i resti di oltre 7mila vittime della repressione staliniana nella foresta di Sandarmokh, nella sua Carelia. E in questa regione lo storico è anche il responsabile di Memorial, la più antica organizzazione per la difesa dei diritti umani nel Paese fondata ai tempi della perestrojka da Andrei Sakharov, che si occupa di commemorare le vittime del regime sovietico, finita a sua volta nel mirino della giustizia russa.

Proprio domani, tra la preoccupazione della comunità internazionale, la Corte Suprema di Mosca si esprimerà sulla richiesta di chiudere Memorial International, accusata di agire come “agente straniero” ricevendo finanziamenti dall’estero, secondo la draconiana legge russa, mentre la branca che si occupa dei diritti umani è sotto processo a Mosca per sostegno a “terrorismo ed estremismo”.


Perm, Russia, museo del gulag (Keystone)

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