Estero

Le truppe Usa restano in Iraq, da combattenti a istruttori

I circa tremila soldati avranno un’altra missione: dall’anno prossimo assumeranno il ruolo di consulenti e addestratori delle forze armate irachene

Nuova missione: consulenza e addestramento (Keystone)
9 dicembre 2021
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Gli Stati Uniti e i loro alleati non ritirano dall’Iraq i circa tremila soldati, dispiegati da anni nel paese nell’ambito della “lotta all’Isis”, ma trasformeranno la missione da combattimento sul terreno a consulenza e addestramento alle forze armate irachene. Questo mentre rimane alta la tensione tra le milizie filo-iraniane e le truppe statunitensi, dispiegate non solo in Iraq ma anche nella vicina Siria. Il consigliere della sicurezza nazionale irachena, Qassem Araji, e il direttore delle relazioni esterne del ministero degli interni di Baghdad, il generale Saad Maan, hanno annunciato quanto già anticipato dal presidente americano Joe Biden: entro il 31 dicembre i 2’500 militari Usa, inquadrati nella Coalizione globale anti-Isis guidata da Washington, assieme a circa altri mille militari di contingenti membri della stessa coalizione, cesseranno ogni attività di combattimento e forniranno addestramento e consulenza alle forze federali irachene.

Stamani si è svolta a Baghdad una riunione tra i vertici dell’esercito iracheno e il comandante in capo della Coalizione, il generale statunitense John Brennan, seduto accanto al suo vice, il generale britannico Karl Harris. All’incontro hanno partecipato rappresentanti dell’esercito francese, della Nato e delle forze militari curdo-irachene. Una larga partecipazione a mostrare quanto ampio sia l’accordo tra il fronte filo-statunitense e il governo uscente di Baghdad. Il leader populista sciita Moqtada Sadr ha stravinto le elezioni legislative del 10 ottobre scorso, che hanno visto la cocente sconfitta dei partiti armati vicini all’Iran. I negoziati per la formazione del nuovo governo proseguiranno a lungo. Ma analisti locali concordano nel dire che né Sadr né i suoi possibili alleati di governo intendono modificare gli accordi presi da Baghdad e da Washington.

E questo nonostante i ripetuti avvertimenti lanciati contro i soldati americani dalle milizie filo-iraniane, da anni diventate parte del sistema istituzionale iracheno. E nelle ultime ore, sui profili sulle reti sociali di dirigenti e seguaci di questi partiti armati sostenuti da Teheran sono comparse nuove minacce alle truppe americane in Iraq e in Medio Oriente. Gli Stati Uniti si erano ritirati militarmente dall’Iraq nel 2011, dopo aver occupato il paese nel 2003. Nel 2014, di fronte alla sorprendente avanzata dell’Isis, Washington era di nuovo intervenuta nel paese, arrivando a schierare più di 10’000 unità, poi gradualmente ridotte dagli inizi del 2018 a 8’000. Poi era cominciata una fase sempre più acuta della tensione tra Washington e Teheran, culminata con l’uccisione nel gennaio del 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani a Baghdad, in un raid in cui era stato ucciso il principale leader delle milizie irachene filo-iraniane. Gli attacchi contro gli interessi americani in Iraq e in tutta la regione erano proseguiti, così come i raid degli Usa e di Israele contro basi e depositi di armi di milizie filo-Teheran in Iraq ma soprattutto nella vicina Siria.

L’annuncio di Biden di un "ritiro entro la fine del 2021" aveva visto ridurre le truppe alle attuali 2’500 unità. Ma ha anche aperto prospettive di incertezza, in particolare alla luce delle recenti ripercussioni del ritiro militare degli Usa dall’Afghanistan. In Iraq rimarranno più di tremila soldati, tra truppe statunitensi e dei paesi alleati. E, come riferito dai media iracheni, nella riunione odierna i generali iracheni e curdo-iracheni hanno presentato al generale Brennan e ai rappresentanti della Nato una sorta di "lista della spesa" per i prossimi due anni di permanenza, il tutto giustificato con la necessità di "sconfiggere il terrorismo" e “stabilizzare” la regione.


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