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Il caso Peng Shuai: abusi, bugie e videotape

La tennista che aveva accusato di abusi Zhang Ghaoli, uno degli uomini più importanti della Cina, è tornata in alcuni video che convincono poco

Peng Shuai durante la videochiamata con il Cio (Keystone)
22 novembre 2021
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“Dov’è Peng Shuai?” Alla domanda che tutto il mondo ha iniziato a farsi da giorni non è bastata nemmeno la risposta che tutti attendevano dalla bocca della stessa Peng Shuai: “Sto bene e sono al sicuro”. Stona il come, il dove, il quando. Stona tutto. A cominciare dalle poche parole e immagini che avrebbero dovuto far tirare a tutti un sospiro di sollievo. Non sarebbe la prima volta per un Paese fortemente autoritario come la Cina in cui si decide di gestire situazioni difficili allestendo un teatrino in cui la protagonista, in questo caso Peng Shuai, si ritrova nel ruolo dell’attrice non professionista a cui mettere davanti un copione da recitare. Talvolta, però, il copione è talmente dozzinale e l’attrice improvvisata talmente poco convinta da sembrare più una marionetta in mano ad altri. Sembra questo il caso.

La videochiamata di mezz’ora con il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach con cui la star del tennis cinese è tornata a farsi viva dopo giorni di forte preoccupazione per la sua scomparsa in seguito delle denunce di abusi sessuali da parte dell’ex vicepremier di Pechino, Zhang Gaoli, resta un mistero. L’atleta “si trova nella sua casa a Pechino, ma preferirebbe che in questo momento venisse rispettata la sua privacy”, ha spiegato il Cio. "È per questo che per adesso preferisce passare il tempo con gli amici e la famiglia. Nonostante ciò, continuerà a essere coinvolta nel tennis, lo sport che ama così tanto”. Se le parole di Peng Shuai sembrano poco credibili, quelle del Comitato olimpico sembrano poco convinte, come se ci fosse ancora del non detto, del non capito o del non confessato. Troppo poco per chi, per giorni, è stato accusato di aver difeso troppo debolmente la tennista 35enne, ex numero uno del mondo nel doppio femminile.


Zhang Ghaoli con Vladimir Putin (Keystone)

I Giochi alle porte

A poco più di due mesi dai Giochi invernali di Pechino 2022 - per cui il presidente americano Joe Biden ha già ipotizzato un boicottaggio diplomatico -, l’intervento di Peng appare come l’ultimo tentativo della Cina di disinnescare l’imbarazzante polemica sulla sua sparizione dalla scena pubblica. L’atleta non era più stata vista in pubblico da quando a inizio novembre aveva puntato il dito contro Zhang, alto papavero del Partito comunista cinese, molto vicino al presidente Xi Jinping. La denuncia era arrivata dal Facebook locale Weibo: Peng Shuai aveva parlato di abusi sessuali da parte dell’ex vicepremier, oggi 75enne, con cui per anni avrebbe intrattenuto una relazione extraconiugale. Il Me Too, che aveva fatto crollare - soprattutto a Hollywood - l’ipocrisia dell’America, aveva preso per la prima volta la strada di Pechino, quella che porta dritta ai palazzi del potere.

Le accuse, sempre come da copione, si erano volatilizzate dopo poche ore. La lenta burocrazia cinese sa quando è il momento di accelerare. La censura di Stato però non è stata veloce quanto il resto del web, che nel frattempo aveva registrato tutto: migliaia di utenti avevano già condiviso il racconto, scatenando proteste e indignazione a livello globale per lo scandalo e la paura di un successivo oscuramento, subito confermato dai fatti. Insomma, la sceneggiatura a certe latitudini è sempre la stessa quando un personaggio noto decide di rompere il muro del silenzio.

Gli appelli di Osaka e Federer

A dirsi preoccupati per la sorte della tennista erano stati fan e colleghi illustri, da Naomi Osaka a Novak Djokovic e Roger Federer, mentre i giornali sportivi di mezzo mondo, a partire dal francese L’’Équipe - sempre in prima linea in questi casi - le avevano dedicato la prima pagina con l’hashtag “Dov’è Peng Shuai?”. Un allarme rilanciato dall’Onu e da diversi governi occidentali, fino all’appello a fornire “prove indipendenti e verificabili” sulle condizioni dell’atleta giunto direttamente dalla Casa Bianca.

Prima della videochiamata con Bach, le autorità di Pechino avevano disseminato una serie di tracce per cercare di chiudere il caso. Prima un’email non verificata a Steve Simon, numero uno della Wta (l’associazione internazionale del tennis femminile), poi alcune goffe foto casalinghe tra i peluche con un gattino tra le mani, infine alcuni scatti al ristorante: tutte prove inoppugnabili della normalità nella vita dell’atleta secondo Pechino. Niente di più prevedibile, invece, per chi alla Cina fatica a credere.


Peng Shuai in campo (Keystone)

Anche il video in cui la campionessa di doppio di Wimbledon e Roland Garros sorride e firma palle da tennis giganti alle piccole fan, concedendosi ai flash, lascia perplessi. Possibile che tutto quel che è accaduto dopo la sua denuncia sia quel che tutti si aspettavano da Pechino? L’intervento del direttore del Global Times (quotidiano vicino al partito), Hu Xijin, pieno di certezze su quel che fa, dice e pensa Peng Shuai sono un altro campanello d’allarme. È stato sempre lo stesso Hu, a meno di 24 ore dalla messa in circolazione delle foto, a diffondere su Twitter due video sostenendo che la protagonista è proprio Peng. In un video la conversazione ruota intorno a non precisate “partite di tennis” e un uomo seduto con Peng e altre due donne dice “domani è il 20 novembre". Ma una delle donne lo interrompe per affermare: "È il 21”. Nemmeno nelle telenovelas di quart’ordine.

La videochiamata apparentemente chiarificatrice con il presidente del Cio, i video e quella richiesta di privacy sembrerebbero voler chiudere il caso Peng. Ma proprio la richiesta di privacy dopo aver urlato al mondo un fatto così grave è un controsenso che resta difficile da buttare giù, per la Wta in primis, che infatti ha scritto: “È stato bello vedere Peng Shuai. Quei video che però non alleviano o affrontano la nostra preoccupazione per il suo benessere e la sua capacità di comunicare senza censura o coercizione”.

Mentre le Nazioni Unite hanno invocato un’indagine trasparente sulla denuncia di abusi contro Zhang, l’hashtag #WhereIsPengShuai continua a spopolare sui social media internazionali. La Cina è grande, la Rete di più.

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