Estero

Clima, intenso lobbying per annacquare gli obiettivi Onu

Mancano pochi giorni alla conferenza internazionale CoP26. Un team di giornalisti investigativi svela le pressioni esercitate da alcuni Paesi ricchi

Importante appuntamento fra una decina di giorni a Glasgow
(Keystone)
21 ottobre 2021
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Londra – Si allungano nuove ombre sulla riuscita della CoP26, cruciale conferenza internazionale Onu sulla lotta ai cambiamenti climatici in programma a Glasgow fra una decina di giorni sotto la presidenza del governo britannico di Boris Johnson e in partnership con quello italiano. A pesare non sono solo poco incoraggianti defezioni del presidente cinese Xi Jinping, di quello russo Vladimir Putin o d’altri leader di colossali economie emergenti; ma pure le pressioni attribuite a un nutrito gruppo di Paesi legati al fronte occidentale che sotto traccia non sembrano lesinare sforzi per cercare di annacquare – nel nome dei rispettivi interessi – gli impegni destinati a essere messi nero su bianco a conclusione del vertice in Scozia: impegni già peraltro giudicati insufficienti a garantire il futuro del Pianeta nelle previsioni di numerosi esperti, di attivisti come la giovanissima svedese Greta Thunberg e un po’ di tutti i movimenti ecologisti.

A svelare l’operazione di lobby in atto dietro le quinte del Palazzo di Vetro è stato un team di giornalisti investigativi messo su da Greenpeace Uk, che è riuscito a intercettare ben 32’000 comunicazioni indirizzate da rappresentanti di governi, aziende e “parti interessate“ all’Ipcc (organismo scientifico di riferimento dell’Onu sul dossier clima, premiato con il Nobel per la pace nel 2007) per provare a spuntare un alleggerimento delle restrizioni prossime venture. Materiale fatto poi trapelare alla Bbc.

Produttori di petrolio in prima fila

In prima fila, nelle manovre in corso per abbassare l’asticella sulla riduzione dei cosiddetti gas serra, risultano essere ciclopici produttori di petrolio quali l’Arabia Saudita o gli altri Paesi dell’Opec; ma anche il Giappone (membro autorevole del forum dei G7) o l’Australia, oltre alla Cina, tutti ben posizionati sul mercato dei combustibili fossili. Nei messaggi si rincorrono le sollecitazioni a “mitigare” certi obiettivi, anche a rischio di mettere potenzialmente in discussione il traguardo chiave minimo di mantenere sotto la soglia di 1,5 gradi in più il surriscaldamento globale, secondo quanto delineato fin dall’Accordo di Parigi sottoscritto da 195 Stati nel 2015. I vertici dell’Ipcc, da parte loro, sottolineano come il dialogo con governi e attori vari sia essenziale, non senza assicurare che non tutte le “raccomandazioni” ricevute saranno necessariamente accolte o anche solo prese in considerazione.

Resta tuttavia la sensazione di una sfida controcorrente rispetto agli auspici più ambiziosi dell’appuntamento, mentre il presidente americano Joe Biden appare quasi costretto a implorare il Congresso di non mandarlo a Glasgow “a mani vuote”, di non mettere in pericolo “il prestigio” degli Usa e consentirgli se non altro di mettere sul tavolo della conferenza l’impegno minimo di un dimezzamento delle emissioni nocive americane entro il 2030.

Premesse non buone

Tanto più sullo sfondo dei mugugni che fanno capolino a diverso titolo da ciascuna delle componenti coinvolte nella CoP26: dagli sponsor, che si lamentano sull’organizzazione, agli ambientalisti che chiedono di avere più voce in capitolo, alla stessa famiglia reale britannica, decisa a essere presente al gran completo in Scozia, ma sempre più platealmente irritata per l’atteggiamento di parte del mondo del business o i temuti forfait di leader stranieri che “parlano e non fanno”.

Il tutto sullo sfondo di una situazione in cui a frenare – come rivelano i documenti passati alla Bbc – sono in tanti: dal Brasile e all’Argentina fino alla liberal Norvegia, decisi a strappare qualche margine in più sulle emissioni attraverso l’esclusione dai vincoli più stringenti di quanto riciclato attraverso la loro lucrosa tecnologia di cattura e immagazzinamento del diossido di carbonio denominata Icc.

Mentre India e Paesi dell’Ue come Repubblica Ceca, Polonia o Slovacchia spingono per garantire nel documento finale più spazio all’energia nucleare tra le “fonti alternative”, accusando l’Onu di farsi condizionare dai “pregiudizi” contrari delle associazioni ambientaliste. E Stati come la Svizzera, rifugio d’incalcolabili patrimoni bancari globali, si sforzano di far barriera e limitare, fra i target del summit, le somme che nazioni più ricche dovrebbero scucire – in nome di un dovere di giustizia storica, dopo aver inquinato liberamente nelle fasi ruggenti della loro industrializzazione – per contribuire ora ai megacosti del passaggio a tecnologie sostenibili richiesto a nazioni povere o in via di sviluppo.

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