medio oriente

Libano sull’orlo di una guerra civile

Il Paese travolto da una gravissima crisi economica. Scontri a Beirut: 6 morti e trenta feriti

Militari davanti a un’auto crivellata di colpi a Beirut (Keystone)
14 ottobre 2021
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Scene di ordinaria guerra civile oggi a Beirut, capitale di un Paese da due anni travolto da una gravissima crisi economica e ancora scosso dall’uccisione di 219 persone nella devastante esplosione del porto della capitale il 4 agosto del 2020. Nel giorno della visita in Libano della sottosegretaria di Stato Usa Victoria Nuland e una settimana dopo la visita del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian, il bilancio degli scontri che si sono consumati oggi è pesante: 6 uccisi, tra cui una donna, e oltre 30 feriti.

Miliziani in strada

Miliziani sciiti, alcuni col volto coperto, hanno svuotato in pieno giorno interi caricatori di fucili automatici, arrivando a usare lanciarazzi preparati in anticipo in vista della loro “manifestazione pacifica”. E in serata il rumore angosciante della battaglia era ancora nelle orecchie di moltissimi abitanti di Beirut, città ferita di nuovo. Proprio l’indagine sull’esplosione del porto è all’origine della tensione esplosa oggi tra le strade della capitale. Il giudice Tareq Bitar, titolare dell’inchiesta, nei giorni scorsi ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Ali Hassan Khalil, ex ministro e deputato del movimento sciita armato Amal.

Le indagini erano poi state sospese a causa di un’ennesima ricusazione nei confronti di Bitar, presentata questa volta dagli avvocati dello stesso ex ministro sciita, braccio destro dell’inamovibile presidente del parlamento Nabih Berri. Il giovane giudice Bitar, che aveva sostituito il primo capo delle indagini presto rimosso dal sistema politico, nelle ultime settimane era stato minacciato pesantemente dai vertici di Hezbollah. E due giorni fa è stato accusato dal leader del Partito di Dio, Hasan Nasrallah, di “politicizzare” l’inchiesta.

Sia Amal che Hezbollah hanno quindi chiesto la rimozione di Bitar, arrivando con i loro ministri a fare pressioni sul premier Najib Miqati, che formalmente non può interferire con la giustizia. L’esplosione del porto di Beirut, che ha distrutto un terzo della città e causato lo sfollamento di 300mila persone, è stata causata dalla deflagrazione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio.


Una madre con i figli si nasconde dietro a un’auto durante una sparatoria (Keystone)

Le accuse a Hezbollah

Da più parti si è accusato Hezbollah di essere coinvolto nello stoccaggio illegale del materiale esplosivo nel cuore di una città abitata da più di un milione di abitanti. Il Partito di Dio, che è da anni parte integrante delle istituzioni dello Stato, ha smentito ogni coinvolgimento. Ma diversi documenti raccolti dal giudice Bitar dimostrano che i vertici istituzionali libanesi, incluso il presidente della Repubblica Michel Aoun e i capi dell’intelligence, erano a conoscenza della presenza del nitrato in un capannone del porto. Anche sulla base di queste prove, Bitar ha inserito nel registro degli indagati nove figure eccellenti dell’establishment politico e di sicurezza libanese.

Tra loro, alcuni ministri di Amal e del movimento sunnita Mustaqbal rischiano di essere interrogati prima di ottenere l’immunità parlamentare come deputati. È in questo contesto che sono scoppiati gli scontri odierni. Attorno alle 10.30 locali miliziani armati dei due partiti sciiti hanno cominciato a sfilare dalla rotonda di Tayyune in direzione del palazzo di Giustizia come evidente segno di intimidazione.


Una vetrina in frantumi (Keystone)

Dal vicino quartiere di Ayn Remmane - già teatro nel 1975 dello scoppio della guerra civile, durata poi 15 anni - sono giunti degli spari da non meglio identificati cecchini. A quel punto si è scatenato l’inferno, con i militari dell’esercito che cercavano riparo dietro gli angoli dei palazzi, intere famiglie rintanate nei bagni delle loro case e i bambini nelle scuole accovacciati sotto i banchi. Hezbollah e Amal, che stasera piangono i loro “martiri", si sono detti vittime di un "agguato”, teso secondo loro da non meglio identificati cecchini cristiani, del partito delle Forze libanesi. Che invece smentisce ogni coinvolgimento. La magistratura ha intanto respinto la ricusazione contro Bitar che domani - lutto nazionale - potrà riprendere le indagini. In attesa del prossimo scontro, istituzionale o armato.

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