Estero

Usa, incubo default: entro il 18 ottobre bisogna alzare il debito

Mentre i democratici cercano un accordo con i progressisti, i conservatori in Senato bloccano il provvedimento che permetterebbe di evitare lo shutdown

Biden
(Keystone)
28 settembre 2021
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Joe Biden trema. L’agenda economica del presidente americano vacilla sotto i colpi dei repubblicani e le divisioni interne al suo stesso partito.

E mentre fra le fila democratiche è corsa contro il tempo per trovare un accordo con i progressisti, i conservatori in Senato bloccano il provvedimento per alzare il tetto del debito ed evitare lo shutdown infliggendo un pesante schiaffo alla Casa Bianca. Il blocco infatti spinge pericolosamente l’America verso il primo default della sua storia.

I tempi sono stretti: il Congresso ha tre settimane per agire, fino al 18 ottobre. Se entro quella data il tetto del debito non sarà stato alzato, il Tesoro americano avrà a disposizione «risorse limitate che andrebbero esaurite rapidamente. Non c’è certezza che dopo il 18 ottobre potremo continuare a far fronte ai nostri obblighi», ha avvertito Janet Yellen.

Parlando davanti alla commissione bancaria del Senato, il segretario al Tesoro americano ha illustrato le conseguenze di una mancata azione: l’economia scivolerebbe in recessione e si avrebbe una crisi finanziaria, con un balzo del tasso di disoccupazione. Insomma - ha messo in guardia Yellen - non alzare il tetto del debito «sarebbe catastrofico».

Un’analisi condivisa anche dal presidente della Fed, Jerome Powell, secondo il quale le conseguenze di una mancata azione sarebbero «gravi»: la banca centrale - ha spiegato - non è in grado di tutelare l’economia e gli americani da un possibile default.

Gli avvertimenti di Yellen e Powell ora risuonano nei corridoi di Washington, dove lo scontro fra democratici e repubblicani si sta consumando su un’economia che ancora sconta gli effetti del Covid ed è alle prese con le conseguenze del diffondersi della variante Delta.

I liberal lavorano per mostrarsi compatti ma al loro interno la battaglia infuria, con i progressisti e i moderati ai ferri corti. I primi si sono detti pronti a non appoggiare il piano delle infrastrutture a meno che il Congresso non approvi l’iniziativa da 3’500 miliardi che prevede investimenti sul clima, l’istruzione e la sanità, ovvero i loro cavalli di battaglia. Una misura che, però, non è ancora stata definita nel dettaglio.

I democratici moderati hanno invece minacciato di non appoggiare la maxi manovra a meno che non ci sia un voto a stretto giro sulle infrastrutture. La Speaker della Camera, la veterana Nancy Pelosi, sta cercando un compromesso fra le due anime del partito ma per ora un’intesa appare lontana.

La Casa Bianca intanto da dietro le quinte cerca di dirimere il conflitto interno ai democratici e, allo stesso tempo, tenta di tessere le fila del dialogo con i repubblicani. Biden è consapevole che i prossimi giorni saranno decisivi per la sua presidenza e per la sua reputazione: nessun presidente vorrebbe presiedere al primo default degli Stati Uniti, soprattutto se già indebolito dal ritiro dall’Afghanistan.

Su un’America più equa e inclusiva e sulle sue capacità di mediazione Biden si è giocato la campagna elettorale e ora i suoi sforzi sono alla prova del Congresso, dove le grandi manovre sono in atto per evitare uno shutdown già venerdì e soprattutto un default che avrebbe conseguenze mondiali.

Intanto Barack Obama scende in campo a sostegno della Casa Bianca: «Bisogna tassare un po’ di più i ricchi, compreso me, per finanziare il piano di spesa del presidente Biden – ha detto in una intervista alla Abc – e assicurare i fondi necessari alla sanità, ai servizi per l’infanzia, alla lotta per il clima. Penso che i più ricchi se lo possano permettere, ce lo possiamo permettere, mi metto anche io tra loro».

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