laR+ l’intervista

‘Le mani di Cina e Russia sul nuovo Afghanistan’

L’ex corrispondente da Mosca e Pechino Fernando Mezzetti: ‘Pechino ora ha tutte le carte in mano per dettare le proprie condizioni ai talebani’

Keystone
20 agosto 2021
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Quel che non avevano visto e previsto gli americani, nonostante le mille avvisaglie, lo avevano previsto russi e cinesi, che – insieme a Iran e Pakistan – hanno sempre tenuto aperte le loro ambasciate, ma anche i contatti con i rappresentanti talebani. Certo, non li hanno ancora riconosciuti formalmente, ma è solo questione di tempo.

L’atteggiamento di Mosca e Pechino – alquanto spregiudicato – ha a che fare sia con la geopolitica locale che con lo scacchiere internazionale: vanno infatti tutelati i propri interessi politico-economici, protetti gli alleati e – non ultimo – messi il più possibile in cattiva luce tutti gli errori degli americani, a cominciare dalla ritirata disordinata che ha rimesso l’Afghanistan in mano ai talebani.

“Ha contato tanto anche il ruolo dei cosiddetti Stan, le ex repubbliche sovietiche a nord dell’Afghanistan con legami più o meno forti con Kabul, ma soprattutto il Pakistan – spiega Fernando Mezzetti, ex corrispondente da Mosca e Pechino per ‘Il Giornale’ all’epoca di Indro Montanelli –. Uno Stato di cui oggi si parla poco, ma che è il padre putativo dei talebani. E i talebani hanno prosperato all’ombra del Pakistan, il che vuol dire all’ombra della Cina”.

Ma perché per la Cina è così importante avere un contatto diretto con i talebani? “In primis per il timore dell’estremismo islamico nello Xinjiang, dove vive la minoranza uigura”, perseguitata dal governo centrale. “I cinesi non dovrebbero avere alcun rapporto col governo talebano perché hanno da tempo stabilito che chi ha rapporti con gli uiguri non può averli con Pechino, ma per tornaconto, come sempre, si possono sempre fare eccezioni. Vedremo poi quanto i talebani vorranno onorare questo impegno. Non è detto che sia bene fidarsi. Intanto l’Europa fa appelli per gli uiguri, ma parliamo di Ong e gruppi minoritari. A chi governa i Paesi, a cominciare dalla Germania, che fa molti affari con la Cina, il tema interessa poco”.

L’Afghanistan è ancora una volta il crocevia di interessi altrui. “Lo chiamano la tomba degli Imperi – ricorda Mezzetti –, zaristi, inglesi, sovietici e ora gli americani hanno perso, ma c’è una forte convergenza di interessi in questo Paese strano, dove è tutta montagna e dove non esiste una classe media. Per la Cina, ad esempio, l’Afghanistan è un anello importante lungo la via della Seta, il progetto che Pechino ha lanciato con investimenti astronomici per diminuire le distanze e rimpicciolire il pianeta. Hanno tutto l’interesse ad avere nel cuore dell’Asia un Paese amico e stabile”. Anche per questo può far loro gioco il recente avvicinamento alla Russia di Putin. “I cinesi protestarono nel 1979 quando i sovietici attaccarono l’Afghanistan e anche ora non vedono di buon occhio le intromissioni di Mosca a Kabul, ma non possono dirlo, devono tacerlo perché i rapporti tra Cina e Russia sono sempre più stretti e utili a entrambi. Proprio in questi giorni sono in corso tra i due Paesi manovre combinate, e non per la prima volta. Due anni fa impiegarono in un’esercitazione 300mila uomini. E anche se non sono formalmente alleati, lo sono di fatto per una serie di accordi bilaterali, compresi quelli militari”.

A maggior ragione mostrare di avere più di un piede in Afghanistan è un bello smacco per gli americani. “E anche una rivincita. Mosca un anno fa fu tenuta fuori dalle trattative da Washington, un errore imperdonabile tra i tanti. Non coinvolgere Putin era insensato, non solo per la Russia di per sé, ma anche in quanto tutore delle altre repubbliche ex sovietiche. Quel che accade in Afghanistan ha riflessi diretti sui Paesi attorno, quelli più ricchi come il Kazakistan o i più miserandi come il Kirghizistan. La Russia ora si farà sentire anche per loro e la cosa a Putin fa gioco per dare un’ulteriore lustrata alla sua immagine internazionale”.

Per Mezzetti, quello non è stato l’unico errore di Washington. “Come si fa a stabilire e annunciare il giorno in cui te ne vai? È contrario a ogni minimo accorgimento militare e politico. Inoltre gli americani non sapevano con chi trattavano, ovvero con un governo che si è subito afflosciato, rivelandosi inesistente, rifornendolo inoltre di mezzi militari, armi, aerei ora finiti tutti in mano ai talebani. Hanno speso 90 miliardi di dollari che non hanno fruttato nulla, anzi hanno rafforzato il nemico. Inoltre Biden – continua Mezzetti – a differenza di molti politici americani era esperto di politica estera e aveva esperienza sul piano internazionale, eppure ha fatto uno scempio. Anche quando, qualche mese fa, ha dato dell’assassino a Putin in tv”. La Russia ora vorrà approfittare della figuraccia americana per prendersi il centro della scena internazionale: “C’è un’avversione all’Occidente che una volta era ideologica, oggi invece è economica e politica. A Putin delle ideologie non interessa nulla”.

Resta da capire il ruolo dell’India, altro gigante in quell’area, che aveva tutto da guadagnare dall’occupazione americana e tutto sommato poco da perdere con una forte influenza russa. Gli Stati Uniti, usciti malamente dall’Afghanistan, ora non possono far altro che agire attraverso l’India, che è interessata a limitare soprattutto l’influenza cinese. “Il Pakistan si tiene defilato, e dico Pakistan per dire Cina, che indirettamente ha dato il primo riconoscimento internazionale dei talebani, ricevuti con grandi onori dal governo cinese, non a Pechino per non creare troppo rumore intorno a quell’incontro. Perché Pechino aveva già capito quando e come sarebbe crollato il governo di Kabul e si è mossa per tempo. Il Pakistan ha manovrato e aiutato i talebani, mettendo a Kabul una leadership di suo gradimento, l’India non resterà a guardare ed entrerà nel Grande Gioco”. Resta da capire se si è già mossa o se è in colpevole ritardo.

La Cina, intanto, si è portata avanti, anche sull’estrazione delle materie prime in Afghanistan. I talebani hanno ovviamente interesse a una produzione in tempi brevi, ma non ne hanno i mezzi. “Anche per questo la Cina ha al momento un doppio vantaggio, politico ed economico. Per loro non avere rapporti diplomatici con Kabul vorrebbe dire non avere canali di comunicazione, non sapere quel che succede, e – dalla questione uigura al dominio economico nell’area – non se lo possono permettere. L’hanno capito e stanno agendo di conseguenza, a differenza degli americani”.

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