Estero

Turchia fuori dalla Convenzione di Istanbul, donne in piazza

La rabbia scende in piazza, con cortei in diverse città del Paese. Ma Erdogan rivendica la sua decisione

Le donne in strada contro la decisione di Erdogan (Keystone)
1 luglio 2021
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La Turchia è definitivamente fuori dalla Convenzione di Istanbul. Cento giorni dopo il decreto del presidente Recep Tayyip Erdogan, che aveva scatenato la rivolta delle donne e l'indignazione della comunità internazionale, l'uscita di Ankara dal trattato contro la violenza di genere entra in vigore. A nulla sono valse le proteste in piazza di associazioni e partiti d'opposizione e i ricorsi in tribunale. Dopo l'ultima bocciatura del Consiglio di Stato, che ha confermato la prerogativa presidenziale sulla decisione, la Turchia diventa il primo Paese a ritirarsi dalla Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, che venne aperta alla firma nel 2011 nella sua città più rappresentativa e che fu la prima a ratificare l'anno successivo.

Non solo: è la prima volta in cui uno stato membro del Consiglio d'Europa si ritira da una convenzione internazionale sui diritti umani. Una scelta che Amnesty International denuncia come "vergognosa" e riaccende l'allarme su una deriva del governo Erdogan. "La Turchia ha rimandato indietro le lancette dell'orologio di 10 anni rispetto ai diritti delle donne e ha stabilito un terrificante precedente", accusa la segretaria generale dell'ong, Agnès Callamard, secondo cui "questa deplorevole decisione è diventata un punto di svolta per le attiviste di tutto il mondo, determinate con noi a resistere a ulteriori assalti ai diritti umani".


Una donna davanti alla polizia durante il Gay Pride di una settimana fa (Keystone)

Raduno a Taksim

Dopo settimane di mobilitazione via social e con flash mob per le strade, le donne turche sono scese questo pomeriggio in piazza in diverse città per ribadire la loro opposizione allo strappo di Ankara. Fulcro delle proteste è stata ancora una volta Istanbul, con un raduno organizzato a Tunel, nei pressi di piazza Taksim. Tra le bandiere viola del movimento femminista, in migliaia hanno sfilato dietro un striscione che recitava: "Non abbandoniamo la Convenzione di Istanbul, per noi non è finita". Tra quelle strade, solo sabato scorso si era consumata l'ennesima dura repressione poliziesca del Pride, vietato per il settimo anno consecutivo. Nelle stesse ore, Erdogan è però tornato a rivendicare la sua decisione.

"La nostra lotta contro la violenza sulle donne non è cominciata con la Convenzione di Istanbul e non finirà con il suo abbandono", ha detto il presidente turco, presentando un suo contro-piano d'azione sul tema e rilanciando le accuse di "strumentalizzazione politica" del trattato, che Ankara accusa di esser contrario ai "valori della famiglia" e di "normalizzare l'omosessualità". Le azioni del governo di Ankara, ha insistito, mirano a "difendere l'onore delle nostre madri e delle nostre figlie".

Ma i timori di un aggravamento della situazione restano forti. Mentre Amnesty avverte che adesso aumenteranno "i rischi di subire violenza per milioni di donne e ragazze", i dati riflettono una realtà già allarmante. Secondo la piattaforma Fermiamo i femminicidi, lo scorso anno almeno 300 turche sono state uccise, per lo più da mariti, compagni o familiari, mentre dall'inizio del 2021 le vittime sono già 189. E solo nei primi quattro mesi di quest'anno, i casi accertati di violenza domestica sono stati 73 mila.

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