Perù

Castillo: maestro, contadino, presidente

Il sindacalista nato in uno degli angoli più poveri del Paese sudamericano è in vantaggio nelle elezioni presidenziali su Keiko Fujimori

Pedro Castillo esulta sul balcone (Keystone)
9 giugno 2021
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“No más pobres en un país rico”. Mai più poveri in un Paese ricco. Così, con un messaggio talmente semplice da apparire rivoluzionario, si è presentato agli elettori peruviani Pedro Castillo, uno che non ha mai fatto mistero di aver letto attentamente sia Marx che la Bibbia. E probabilmente anche Eduardo Galeano, che nel suo “Le vene aperte dell’America Latina” ha ricordato al mondo quanto il Sudamerica fosse stato nei secoli saccheggiato, restando un angolo di Terra ricchissimo eppure pieno di poveri.

Figlio di una coppia analfabeta

Pedro Castillo, l’uomo che si appresta a diventare presidente del Perù, in realtà non avrebbe bisogno di leggere Galeano perché lui ha vissuto a lungo dentro la penosa storia raccontata dallo scrittore uruguaiano. Terzo figlio di due contadini analfabeti, a dodici anni faceva 140 chilometri a piedi con il padre per andare a lavorare come giornaliero nelle piantagioni di caffè dell’Amazzonia.

Al ritorno, i due avevano abbastanza soldi per comprare i libri e la divisa della scuola. Bocciato due volte in gioventù, Castillo dalla scuola non è mai uscito, pagandosi gli studi andando a vendere gelati, laureandosi in psicologia e diventando insegnante, cuoco di mensa e bidello insieme, poi dirigente scolastico, infine sindacalista in una regione andina con nomi che più sudamericani non si può: Tacabamba, regione di Cajamarca, al confine con l’Ecuador. Sudamericane le ricchezze, visto che la pancia di quel pezzo di Perù è pieno d’oro, sudamericano il risultato: la Cajamarca è una delle aree più depresse del Paese.

Nel suo giorno libero, la domenica, Castillo mollava i libri per andare a lavorare nei campi, aiutando la famiglia e diventando membro delle “rondas campesinas”, quei collettivi contadini organizzati per difendere la propria terra dai furti di bestiame e raccolto.


Castillo durante un pranzo in famiglia (Keystone)

Le battaglie sindacali

Lo spirito battagliero di Castillo, che lo ha portato oggi - a un pugno di voti dallo spoglio definitivo - sulla soglia del palazzo presidenziale di Lima, emerge nel 2017, quando, da rappresentante sindacale di questo ininfluente pezzo di Perù finì col diventare uno dei capi di uno sciopero lungo 80 giorni e di un duro braccio di ferro con il governo, lasciando quasi 4 milioni di ragazzi e ragazze senza una classe. Gli insegnanti chiedevano stipendi più alti e un futuro più chiaro. E non mollavano.

Quando la politica capì che non c’era altro modo di chiudere la vicenda che trovare un accordo, convocò nel Palazzo del governo diversi rappresentanti  sindacali da tutto il Paese, ma non Castillo, accusato di aver fatto parte di Sendero Luminoso, l’organizzazione di stampo maoista il cui obiettivo è sovvertire il sistema politico peruviano con la lotta e con le armi. Castillo rispose sdegnato che lui Sendero Luminoso lo aveva combattuto in quanto membro attivo delle “rondas campesinas”. Gli insegnanti, alla fine, ottennero molto, non tutto. Un anno fa Castillo si trovò di nuovo a battagliare con il governo, con l’arrivo della pandemia. Da Lima, preoccupati per i casi di coronavirus, chiusero le scuole e promisero computer mai arrivati. Il maestro di Tacabamba ricominciò a protestare, spiegando che la situazione economica delle famiglie non permetteva ai bambini di seguire le lezioni online. Da lì l’idea di candidarsi e cambiare le cose dall’interno. Una rivoluzione insieme di sinistra e conservatrice.


La sfidante Keiko Fujimori (Keystone)

Comunista e conservatore

Conservatrice in quanto fortemente legata alla morale cattolica più intransigente: no all’aborto, no ai matrimoni gay, no all’eutanasia. Lui, cattolico devoto, è sposato con un’evangelista (anche lei insegnante), e non perde occasione di citare la religione e la famiglia, in una visione fortemente patriarcale.

Comunista perché Castillo vuole riequilibrare socialmente il Perù, dare voce in capitolo ai poveri, statalizzare le ricchezze del Paese (revocando le licenze alle multinazionali), cambiare la Costituzione e - se dovessero impedirglielo - anche la Corte costituzionale. Dice che il Paese va economicamente rigirato come un calzino e che serve una rivoluzione educativa che guarda proprio a Marx, al cileno Salvador Allende. E anche al primo Lula, l’ex sindacalista delle fabbriche diventato presidente del Brasile.

Castillo è il Lula contadino: ha girato il Paese, facendo una parte di campagna elettorale a cavallo con sulla testa il sombrero bambamarquino, il copricapo in paglia di palma tipico della sua Cajamarca. Per questo è diventato il candidato dell’altro Perù, quello dimenticato, che si sta scoprendo seppur per un soffio, maggioranza.

Dall’altra parte, a una manciata di voti di distanza c’è Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente e dittatore del Perù, sostenuta nelle grandi città, a partire dalla capitale Lima, e sostenuta dai grandi capitali e capitalisti, quelli che Castillo vuole combattere. E che combattono Castillo: non è un caso che quando il maestro-sindacalista ha vinto a sorpresa il primo turno delle presidenziali con il 19% dei voti, la Borsa locale sia crollata.


Una donna andina alle urne (Keystone)

Ora le percentuali dicono 50,1% Castillo, 49.9% Fujimori. Una vittoria del maestro anche al secondo turno sposterebbe ulteriormente a sinistra il pendolo politico del Sudamerica, che dopo l’ondata dei Chávez, dei Morales e dei Kirchner nei primi anni Duemila, aveva visto negli ultimi anni avvicendarsi governi sempre più a destra, il cui simbolo resta Jair Bolsonaro in Brasile. Con il voto Castillo, l’altro Sudamerica, quello che faceva il coro al grido di dolore di Galeano, sta provando a far sentire nuovamente la sua voce.

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