Estero

Iniziati a Parigi i processi agli ex terroristi rossi

Parla Marina Petrella: "Siamo alla fine, dolore per tutte le vittime. Ho vissuto un'intera vita in fuga"

L'ex Br Marina Petrella fuori dal tribunale (Keystone)
5 maggio 2021
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"Compassione per tutti. Per tutte le persone che sono state coinvolte. Per tutte le famiglie, compresa la mia". Ad accompagnare Marina Petrella alla prima udienza per la richiesta di estradizione ci sono le due figlie e un'amica. Lei - fra pioggia e squarci di sole parigino sopra al Palais de Justice che la aspetta assieme agli altri ex terroristi rossi italiani per la prima giornata di udienze - parla con alcuni giornalisti di 40 anni di vita da condannata in fuga.

In Italia, l'ex BR che nel 2008 fu salvata dall'estradizione da Nicolas Sarkozy per le sue condizioni di salute dovrebbe scontare l'ergastolo. "Dovrei morire in carcere", ripete. Insieme con Roberta Cappelli è accusata dell'assassinio del generale dei carabinieri Enrico Galvaligi. "Stiamo arrivando verso la fine. Stiamo raschiando il fondo del barile. Io ho vissuto tutti questi anni con un grande dolore. Dolore e compassione per le vittime, per tutte le vittime. Per le famiglie coinvolte, compresa la mia", dice l'ex brigatista, sobria in un cappotto blu, sostenuta in questi giorni dai ragazzi del centro sociale di quartiere per cui lavora. "Da parte mia, ho fatto 10 anni di carcere, fra Italia e Francia. E 30 di esilio, un'espiazione quotidiana che dura tutta la vita, una pena senza sconti e senza grazie. Che ti impedisce di tornare nella tua terra. Anche qui un passaggio nel dolore e nella lacerazione".

"Noi - continua la Petrella - ci siamo assunti una responsabilità politica collettiva, mentre il compito della giustizia è quello di giudicare e condannare in rapporto alle responsabilità di ognuno. Ci sono state vittime, e ci sono stati tanti compagni che hanno pagato con il carcere, alcuni con l'ergastolo. Queste vittime non sono rimaste impunite, senza memoria". Ma paragonare, come ha fatto il ministro della Giustizia francese, il sangue degli anni di piombo con la strage del Bataclan è di "incredibile volgarità", sottolinea: "Uno del Bataclan può essere paragonato a Piazza Fontana, a Brescia, alla stazione di Bologna, a Reggio Calabria. Io sono stata condannata sulla base dell'assunzione di una responsabilità collettiva". Guarda lontano Marina Petrella, ma sembra quasi mordersi le labbra: "Oggi è ancora presto, ma non escludo che arrivi una riflessione su un modo diverso di provare a spiegarsi. Un linguaggio comune? Mi sembra impossibile. Piuttosto penso ad un avanzare, un progredire, perché ormai non ci sono più poste in gioco. Ricordiamoci che prima, anni fa, la parola non era libera, non era esente da un premio, fra dissociati e pentiti. Oggi siamo alla fine, stiamo raschiando il fondo del barile e non ci sono più queste poste in gioco, non ci sono più ricompense. Ma al tempo stesso, da parte dell'Italia, un paese che non è capace di fare i conti con la sua storia, non c'è nessuna apertura. Chiedere un'operazione di questo tipo è difficile. A chi rivolgersi?".

A cosa ha portato la lotta armata? "Non era fine a se stessa - risponde la Petrella - tante riforme sono state fatte anche grazie a quella conflittualità che saliva, che costruiva istanze nuove. C'era un modello di trasformazione, il socialismo al di là degli esempi storici, è solidarietà, fratellanza, condivisione. C'è stato un processo di scontro atroce per tutti. Per tutti". Parole come pentimento o rimpianto, non le vuole sentire: "Queste cose fanno parte della parte spirituale, intima, non ne voglio parlare e non ne parlerò mai. Quello di cui si parla qui è la sfera della vita civile. Io faccio un lavoro socialmente utile, posso fare del bene alla gente, per me è una sorta di riscatto simbolico". Sulla eventuale disponibilità di Italia e Francia ad ascoltare le voci di persone che hanno partecipato alla lotta armata, Petrella non si fa illusioni: "Non ci stiamo dirigendo verso un'apertura dello spirito critico, un'evoluzione, andiamo verso una chiusura, fra liberalismo e autoritarismo, sia in Francia, sia in Italia". In Francia, forse, un po' di più, fra appelli di intellettuali e sostegno di fedelissimi: "Gruppi di intellettuali hanno cominciato a firmare degli appelli e altri ne arriveranno. Non sento un calo dei sostegni, piuttosto una difficoltà nell'esprimersi, una specie di autocensura che si impone sempre di più".

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