Estero

Ristrutturazione d’oro, Boris Johnson nei guai

Il premier britannico si difende dalle accuse: ‘Ho pagato io i lavori della casa’. Il Labour lo attacca: ‘Se è falso dimettiti’

Protesta anti-Johnson davanti a Downing Street (Keystone)
28 aprile 2021
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Tornano a soffiare venti di bufera su Boris Johnson e potenzialmente sul suo destino di primo ministro di Sua Maestà. A minacciare di azzopparne se non stroncarne la carriera da Lazzaro della politica britannica è questa volta la vicenda della ristrutturazione d'oro dell'appartamento al numero 11 di Downing Street, scelto da lui e dalla sua ambiziosa compagna Carrie Symonds come residenza ufficiale attigua a 'number 10': il più incombente degli "scandali" innescati dalla nuova ondata di rivelazioni, vere o presunte, piovutegli addosso in queste settimane sullo sfondo della vendetta scatenata contro di lui dall'ex consigliere principe e guru della Brexit, Dominic Cummings, silurato a fine 2020 dopo essere entrato in rotta di collisione proprio con Carrie nell'ambito d'una guerra fra clan interna all'entourage di Bojo.

La faccenda è da oggi al centro di un'imbarazzante inchiesta formale della Commissione elettorale del Regno, che ha fatto sapere di ritenere vi siano "ragionevoli motivi per sospettare che uno o più infrazioni siano state commesse" e di voler continuare "a lavorare per verificare se sia così". Tecnicamente l'organismo può valutare solo possibili violazioni amministrative sui finanziamenti elettorali e gli standard di comportamento ministeriali. Adottando eventualmente un'ammenda. Ma se il verdetto fosse negativo, la poltrona di Johnson - già messa in discussione dalle opposizioni in un furibondo botta e risposta con il numero uno del Labour, Keir Starmer, e altri avversari alla Camera dei Comuni - potrebbe traballare davvero.

Toni accesi

Nel Question Time il premier Tory, mai così acceso nei toni a Westminster, ha insistito di aver coperto tutti "i costi personalmente, in conformità con i codici di condotta e con le raccomandazioni" ricevute dai funzionari del Public Service. Mentre ha definito "assolutamente bizzarro focalizzarsi su questo dossier invece che sui piani del governo per migliorare la vita delle persone" nel Reno Unito sullo sfondo dei successi rivendicati per riportare sotto controllo la pandemia di Covid, avviare una campagna di vaccinazione condotta a ritmi record in Europa e rilanciare un'economia da dopo Brexit che sembra intanto tornare a correre. Ha tuttavia dovuto aggiungere di rimettersi alle valutazioni della Commissione elettorale, mentre non ha risposto nel dettaglio agli attacchi di Starmer che lo sfidava a dire chi avesse pagato "inizialmente", non alla fine, per la lussuosa ristrutturazione della residenza incriminata. Cummings, nei giorni scorsi, ha del resto rinfacciato al suo ex boss d'avere in un primo momento avanzato l'idea di far coprire parte di quei costi - per i quali il capo del governo ha una dotazione standard di denaro pubblico pari a 30.000 sterline, ma che la Symonds avrebbe fatto lievitare secondo alcuni media fino a 200.000 - attraverso una raccolta fondi di donatori del Partito Conservatore per almeno 58.000 sterline, stando alle indiscrezioni. Fondi che le opposizioni sospettano possano esser stati restituiti solo in seguito, a causa della minaccia dello scandalo, e magari alle casse della tesoreria Tory: in un'operazione d'anticipo contante irregolare rispetto alle norme sul finanziamento elettorale.

I sondaggi

Nel durissimo scontro ai Comuni e sui media, la questione dell'appartamento non è del resto l'unica pietra dello scandalo mentre si avvicina una delicata tornata di elezioni amministrative fissata per il 6 maggio dove il largo vantaggio di 10-11 punti accreditato ai Tory dai tre più recenti sondaggi nazionali (di Redfield & Wilton, Opinum e YouGov) potrebbe a questo punto essere messo a rischio.

A pesare è pure una frase shock fatta trapelare ad orologeria fra le indiscrezioni di questi giorni secondo cui a ottobre BoJo, in una riunione governativa riservata, avrebbe detto di preferire veder "accumularsi i cadaveri a migliaia" piuttosto che imporre un altro lockdown, prima di cambiare idea. Parole che il premier ha di nuovo negato d'aver mai pronunciato di fronte alla domanda quasi da interrogatorio di Starmer, offrendo al leader laburista, ex procuratore della Corona, il destro per replicare secco: "Qui qualcuno mente". E per avvertire che, se scoprirà che a farlo "dinanzi al Parlamento" fosse stato Johnson, egli "si dovrà dimettere".

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