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La corsa contro il tempo del sottomarino inabissato

Restano poche ore di ossigeno ai 53 a bordo e gli indizi per trovare il sommergibile indonesiano scomparso mercoledì sono minimi. Si spera nel miracolo

Il Kri Nangalla 402 scomparso al largo di Bali (Keystone)
24 aprile 2021
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Rimanere chiusi, centinaia di metri sott’acqua, in quella che - progettata per essere tutt’altro - potrebbe diventare presto e a lungo, se non per sempre, la propria enorme tomba. In attesa di un aiuto che non arriva, insieme ad altre 52 persone segnate dallo stesso destino. Commilitoni, colleghi, amici, nemici, chissà. Ognuno con le sue paure, i suoi demoni e le imprevedibili reazioni umane davanti a un evento a cui non ci si può opporre. Si può solo aspettare, che da sempre - perfino nelle piccole cose - è una delle torture peggiori. Figuriamoci lì, a cento, duecento, forse addirittura settecento metri di profondità. Sapere di essere morti e vivi allo stesso tempo. Sempre più una cosa, sempre meno l’altra. Questa - a meno di salvataggi da film, ormai davvero all’ultima scena - è la tragica fine toccata in sorte all’equipaggio del sommergibile della Marina indonesiana scomparso dai radar mercoledì mattina al largo di Bali.

Numeri e speranze che si assottigliano

È ormai tutta una questione di numeri che si assottigliano sempre più. Come le speranze di chi aspetta a casa. Al momento dell’inabissamento erano poco più di 72 le ore di ossigeno disponibili dentro al sottomarino, e anche le percentuali di un possibile ritrovamento davano ancora speranza mentre il mondo si mobilitava. C’era un ultimo segnale radar lasciato mercoledì che restringeva inizialmente l’area delle ricerche. Area che si è dovuta nel frattempo espandere, visto che non si trovava nulla, e poi ancora restringere (siamo a dieci miglia nautiche, circa 30 chilometri quadrati) quando ieri - finalmente - è arrivato un altro segnale proveniente da un oggetto non identificato. Troppo poco per i soccorritori, ancora meno per chi li aspetta con una riserva d’aria che potrebbe essere già finita, soprattutto in caso di danni alla struttura, come è probabile. O aumentata, se i 53 hanno potuto avere in qualche modo accesso alle cartucce di superossido di potassio che trasformano l'anidride carbonica in ossigeno. La sola speranza di prolungare la sopravvivenza. O, verrebbe da dire, l’agonia.

A questa seconda si pensa quando - qui in superficie - tornano alla mente le vicende del Kursk, il sottomarino nucleare russo impegnato in un'esercitazione militare nel mare di Barents e affondato il 12 agosto 2000 a seguito dell'esplosione di due dei siluri che portava in grembo. Nessuno dei 118 a bordo sopravvisse. Molti morirono subito, altri resistettero giorni, ammassati in un unico scompartimento.

La tragedia del Kursk

“Ore 13.15. Tutto il personale dai compartimenti sei, sette e otto o si è postato nel nono. Qui siamo in 23. Nessuno può risalire. Scrivo questo biglietto al buio nella speranza che qualcuno leggerà queste parole”, scriveva il luogotenente Dimitri Kolesnikov. Il suo corpo fu tra i primi recuperati dai sommozzatori russi e norvegesi, tra le polemiche delle famiglie, convinte che il Cremlino avesse volutamente ritardato i soccorsi per evitare di avere in giro testimoni scomodi dell'incidente. Mosca, infatti, attese a lungo prima di dare il via libera ai soccorsi da parte della Norvegia, rivelatisi poi efficaci, seppur con il ritardo fatale accumulato dai russi.

Questa volta i soccorsi sono stati tempestivi, con mezzi, navi e aerei messi a disposizione da una lunga lista di Paesi: le vicine Malesia, Singapore e Australia, ma anche Corea del Sud, Stati Uniti, Germania, Francia, Russia, India e Turchia. La tecnologia a bordo di alcuni di questi mezzi ci sono tra le più sofisticate attrezzature di tracciamento. Eppure, non si trova nulla. O meglio, tutto quello che è stato rilevato finora è un oggetto con un "forte campo magnetico" a una profondità compresa tra 50 e 100 metri. Potrebbe trattarsi proprio del sottomarina, chiamato, Kri Nanggala 402: aveva chiesto mercoledì il permesso di immergersi per effettuare un'esercitazione. Permesso - purtroppo, col senno di poi - accordato. Ma se il campo magnetico è una speranza, seppur flebile, c’è un altro segnale che mette apprensione: vicino all'ultima posizione segnalata del sottomarino è stata rilevata una fuoriuscita di gasolio. Secondo gli esperti potrebbe indicare una rottura dello scafo. Ciò non vorrebbe necessariamente dire che per i 53 sommersi e non ancora salvati sia già finita, ma - in questo caso - gli spazi a bordo sarebbero ancora più limitati. Come se non bastasse, un eventuale danno all'attrezzatura potrebbe aver provocato l'aumento dell'anidride carbonica. Il che vuole dire: meno aria respirabile.


Militari indonesiano nel centro allestito per le ricerche (Keystone)

Le ricerche e le ipotesi

“Abbiamo pochissimo tempo”, ha detto il portavoce militare indonesiano Achmad Riad. Ma tutti sanno che le possibilità erano poche, sono sempre meno e semmai il sottomarino si trovasse davvero troppo in profondità (ovvero oltre le sue possibilità strutturali di tenuta) sarebbe già inutile oggi cercare pensando di trovare qualcuno vivo.

Ad oggi l’ipotesi più accreditata è che il Nanggala abbia perso potenza durante l'immersione e non sia stato in grado di attivare le procedure di emergenza per tornare a una quota più sostenibile. L'angoscia dei familiari dei marinai sale: “La nostra ultima comunicazione è stata lunedì, quando mi ha detto che stava partendo per lavoro. Mi ha chiesto di pregare per il suo ritorno al più presto a casa e ha detto a nostra figlia di studiare”, ha raccontato la moglie del sommergibilista Guntur Ari Prasetyo, 39 anni, che vive nell'isola di Giava.

Bali, Giava, scenari che a occhi occidentali fanno pensare a vacanze, relax, acque limpide, dove ci si può tuffare e vedere distintamente il fondale per metri e metri senza bisogno di nulla, al massimo di una maschera. Non è così, non può esserlo. Non questa volta almeno.

Il Kri Nangalla 402

La Marina indonesiana - che negli ultimi anni ha cercato di modernizzarsi - non è nuova a incidenti mortali, seppur di portata minore. E mai era rimasto coinvolto un sottomarino. Il Kri Nanggala 402, fabbricato in Germania, era entrato nella flotta indonesiana nel 1981. Sottoposto a una revisione in Corea del Sud nel 2012, era considerato in buone condizioni. Cosa è andato storto ce lo diranno i marinai, se avverrà il miracolo. O parlerà il relitto, se e quando sarà trovato.

L’ultima notizia di un sottomarino scomparso risale al 2017. Si tratta del’Ara San Juan, battente bandiera argentina e scomparso nell'Atlantico meridionale con 44 persone a bordo. Furono giorni e settimane di affannate ricerche in superficie e silenzi dal mare più profondo. Il relitto, imploso, venne ritrovato un anno dopo a decine di chilometri di distanza rispetto a dov’era stato cercato.

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