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Suez e la nave gigante che intasa il traffico mondiale

Nemmeno 8 rimorchiatori sono riusciti a liberare la portacontainer incastrata nel canale: ogni giorno che passa, i danni all'economia si contano in miliardi

La nave incastrata nel canale (Keystone)
26 marzo 2021
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“È come se l’Empire State Building si fosse messo di traverso proprio in mezzo al canale di Suez: mai successo nulla del genere”, sospirava ieri uno spedizioniere che a bordo della Ever Given aveva caricato due contenitori pieni di materiale elettronico prodotto in Cina.

In realtà la nave costruita nei cantieri giapponesi Imabari fra il 2015 e il 2018 - quasi 400 metri di lunghezza e una capacità di 20.124 contenitori – è addirittura più imponente del grattacielo simbolo di New York.
Gli addetti ai lavori le chiamano Golden-class container ships. Sono le navi più grandi mai concepite dall’ingegneria moderna, studiate per ammortizzare i costi di un settore che fino al febbraio dello scorso anno sembrava non vedere la fine di una crescita che neppure la crisi Lehman Brothers aveva scalfito.

Navi sempre più grandi (dopo la Ever Given, battente bandiera panamense ma gestita dalla taiwanese Evergreen, sono arrivate quelle da 24.000 contenitori ed è probabile che presto ne arrivino di più maestose) ma anche complesse, insidiose, meraviglie difficili da manovrare, malgrado la tecnologia abbia fatto progressi impressionanti nell’ultimo decennio.

L'Egitto: snodo cruciale

Ha senso, questa corsa al gigantismo? Alla domanda che da tempo anima dibattiti accademici e incendia scontri ideologici, sembra avere risposto l’incidente che da due giorni sta bloccando Suez. Nemmeno gli otto rimorchiatori ingaggiati dall’Authority del Canale sono stati in grado di liberare, almeno in parte, il transito lungo una delle più trafficate vie marittime al mondo. “È come un’enorme balena spiaggiata: è difficilissimo spostare tutto quel peso appoggiato sulla sabbia dei fondali”, ha spiegato con ammirabile sintesi Peter Berdowski, amministratore delegato della compagnia olandese Boskalis, un’autorità nel campo dei soccorsi marittimi. “Tempi? Giorni, ma potrebbero servire settimane”.
Intanto il caos attorno al Canale aumenta, tanto che ieri pomeriggio un broker contattato da ShipMag parlava di “almeno 180 navi immobilizzate fra portacontainer, gasiere, petroliere. È incredibile pensare ai danni provocati da una singola nave andata in panne”.

Già, perché quello della Ever Given non è un incidente tradizionale: non c’è stata collisione (a proposito: due anni fa la stessa portacontainer aveva scontrato un traghetto, nell’area portuale di Amburgo, per fortuna senza provocare feriti), né si può dire che il guasto sia avvenuto in navigazione aperta, dove è più frequente registrare problemi tecnici o ai motori. Eppure, il banale imprevisto della Ever Given si sta abbattendo su buona parte della catena logistica mondiale.
Il motivo, come sempre, è nei numeri. Il Canale di Suez accoglie ogni anno il 12% del commercio globale: solo nel 2020 sono transitate su questo corridoio d’acqua lungo 120 miglia 18.829 navi, e di queste più di 4.700 erano portacontainer. Per l’Egitto, il Canale è soprattutto un’impressionante fonte di entrate: malgrado la pandemia, l’anno scorso i pedaggi hanno garantito allo Stato un reddito di 5,61 miliardi di dollari. Calcolare i danni provocati da ogni giorno di semaforo rosso è fin troppo facile. Il Lloyd's list ha provato a fare i conti: 10 miliardi di euro al giorno. Capire chi se ne farà carico, sarà impresa più ostica.

“Le grandi navi portano grandi problemi ai terminal e alle reti di distribuzione – spiegava tempo fa Marco Conforti, uno dei massimi esperti europeo di logistica portuale - Quello assicurativo è un tema che esiste, accanto a quello delle possibili congestioni e dei costi per adeguare le strutture. Non solo. Uno dei problemi che bloccò lo sviluppo delle mega-petroliere, negli anni 1970, fu l’immensa quantità di valore finanziario che restava bloccata su una nave. Non so se ci siano analogie fra quel periodo e la situazione attuale, ma certo il tema della concentrazione di valore esiste, non soltanto nei porti, ma anche sulle navi. La logistica ha avuto uno sviluppo distonico: da un lato spedizioni sempre più ridotte di dimensioni e numerose per frequenza, per evitare le spese di magazzino da parte dei proprietari della merce; dall’altro la spinta degli operatori del trasporto a economie di scala, che rendono preferibile usare una nave da 20 mila teu che tre da settemila”.

L’allarme scattato a Tianjin

Il 12 agosto di sei anni fa una serie di esplosioni nel bacino portuale di Tianjin, in Cina, uccide 173 persone e provoca il ferimento di altre ottocento. A provocare la tragedia, una detonazione avvenuta in un grande deposito di materie chimiche. E’ una delle più grandi sciagure che il mondo della logistica ricordi.

A finire sotto accusa, anche in questo caso, è il gigantismo che caratterizza il mondo dei trasporti, marittimi e terrestri. Un fenomeno nato per arginare la crisi economica abbattendo i costi, ma che rivela anche pesanti controindicazioni. Un rapporto dello Iumi, l’associazione che riunisce le compagnie assicurative attive nel settore marine, spiega che il gigantismo sempre più spinto crea grossi problemi anche dal punto di vista assicurativo. Secondo l’associazione, continua a crescere quella che gli addetti ai lavori chiamano “aggregazione dei rischi”:  succede quando un singolo evento causa un numero eccezionalmente grande di perdite. Nel settore marittimo, l’aumento di rischi di questa scala è stato trainato proprio dall’arrivo sul mercato di navi portacontainer di dimensioni sempre più grandi e dalla conseguente costruzione di strutture adeguate per la movimentazione e l’immagazzinamento.

“Questo incidente estremamente triste e deplorevole – denuncia all’epoca il presidente di Iumi, Dieter Berg - testimonia la crescita persistente dell’aggregazione di valore nei porti e nelle aree di stoccaggio, in particolare nelle regioni molto industrializzate. Esempi recenti comprendono le alluvioni in Thailandia nel 2011 e l’uragano Sandy sulla costa orientale degli Stati Uniti nel 2012, che ha causato la maggiore perdita di sempre per una catastrofe nel settore marine”. Secondo Berg, gli errori umani devono essere considerati quanto gli incidenti casuali e devono essere trattati con l’urgenza che si dedica agli atti di terrorismo, in quanto difficili da prevedere e standardizzare. Esattamente quello che sta succedendo a Suez.

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