Estero

Le piazze di Navalny fanno paura: 3600 arresti

I collaboratori dell'oppositore di Putin promettono una doppia protesta domenica e il 2 febbraio. Biden attacca il Cremlino: "No a repressione brutale"

(Keystone)
24 gennaio 2021
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Sono, alla fine, più di 3.600 le persone fermate dalla polizia nelle proteste a sostegno di Alexei Navalny, l'oppositore di Vladimir Putin scampato alla morte per avvelenamento e ora in carcere, ma pronto a sfidare di nuovo il presidente. A dichiarare questi numeri è l'ong Ovd-Info sul proprio profilo Twitter. Le autorità avevano promesso una dura repressione ammonendo che gli eventi pubblici non autorizzati sarebbero stati "immediatamente soppressi". E così è stato, inevitabilmente, dopo l'appello di Navalny che ha scatenato sabato le prime proteste nell'Estremo oriente russo e in Siberia, comprese città come Vladivostok, Khabarovsk e Chita, dove diverse migliaia di persone sono scese in piazza sfidando la polizia. Alla fine saranno oltre 110 le città invase dai manifestanti. "Il prossimo fine settimana terremo nuove proteste in tutto il Paese. Navalny deve essere immediatamente rilasciato dalle grinfie dei suoi assassini e le nostre richieste, assolutamente giuste, devono essere soddisfatte". Queste le parole di Leonid Volkov, coordinatore della rete regionale del Fondo Anti-Corruzione di Navalny, mentre sono 654 gli attivisti che rischiano fino a 30 giorni di galera se non troveranno in fretta i soldi per pagare multe salatissime. Un'altra manifestazione è prevista martedì 2 febbraio, giorno in cui i giudici decideranno su un ulteriore periodo di carcere per Navalny.

In centro a Mosca, in Piazza Pushkinskaya, la polizia, in tenuta antisommossa ha effettuato un gran numero di fermi, anche con metodi duri, tirando fuori i manganelli per fermare la manifestazione. Tra i fermati anche un ragazzino di appena dodici anni. I manifestanti hanno urlato "Fascisti, fascisti" alla polizia, che ha risposto, in alcuni casi, con l'uso dei manganelli, il tutto mentre molti automobilisti sulla centrale Tverskaya suonavano il clacson in segno di sostegno, proprio come nelle manifestazioni dei mesi scorsi in Bielorussia contro il presidente Alexandr Lukashenko. Tra gli arrestati anche la moglie di Navalny, Ljuobv Sobol, mentre nelle piazze si sono riversati in ben 130 mila. Numeri che sembrano contenuti, ma non nella Russia di Putin, dove a Yakutsk i giovani - pur di far sentire la loro voce - sono scesi in strada con temperature oltre i 50 gradi sotto lo zero.

Alla repressione violenta hanno risposto le diplomazie di mezzo mondo, e anche il neoeletto presidente americano Joe Biden non ha perso tempo, mettendo subito nel mirino la Russia e l'altra superpotenza emergente, la Cina. Il primo messaggio è stato proprio contro la repressione di Mosca. Biden vuole infatti ribaltare al più presto la linea compiacente di Trump verso lo "zar" Putin. E se da un lato è pronto a prorogare per altri cinque anni il trattato Start per il controllo degli arsenali nucleari, dall'altro si prepara a nuove sanzioni sulle interferenze russe nelle elezioni, sui cyber attacchi, sull'avvelenamento di Navalny e sulla violazione dei diritti umani. Ignorando le accuse del Cremlino all'ambasciata americana di aver interferito negli affari interni per aver pubblicato le aree della protesta, il dipartimento di Stato ha "condannato con forza l'uso di metodi brutali contro manifestanti e giornalisti in questo weekend in diverse città della Russia", chiedendo a Mosca di rilasciare "in modo incondizionato" Navalny e "tutte le persone detenute per aver esercitato i loro diritti universali". Washington ha ricordato che tali diritti sono scolpiti "non solo nella Costituzione russa ma anche negli impegni di Mosca verso l'Osce e verso la dichiarazione universale dei diritti umani, nonché nei suoi obblighi in base al Patto Internazionale sui diritti civili e politici". E ha infine promesso di "stare a fianco dei nostri alleati e partner in difesa dei diritti umani", alla vigilia del Consiglio europeo che dovrà decidere eventuali sanzioni.

Il secondo messaggio da Washington é contro le intimidazioni cinesi a Taiwan, nel giorno in cui i bombardieri di Pechino hanno sorvolato lo spazio aereo dell'isola che il Dragone vorrebbe riportare sotto le proprie ali, dopo la stretta su Hong Kong. Dopo la condivisione dell'accusa di genocidio contro gli uiguri "gli Stati Uniti osservano con preoccupazione i tentativi in corso da parte della Repubblica Popolare cinese di intimidire i suoi vicini, inclusa Taiwan. Sollecitiamo Pechino a cessare le sue pressioni militari, diplomatiche ed economiche". La questione della riunificazione ricorre spesso nei discorsi ufficiali di Xi Jinping e negli ambienti diplomatici si teme che il presidente cinese possa far salire la tensione quest'anno, in occasione del centesimo anniversario della fondazione del partito comunista. Il neo segretario di Stato Anthony Blinken, che dovrebbe essere confermato a breve, condivide la linea dura di Trump contro la Cina, anche se con metodi diversi e coinvolgendo gli alleati.

 

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