Estero

Regeni ‘seviziato e ucciso’, quattro rinvii a giudizio

Chiuse le indagini sulla morte del ricercatore friulano ammazzato nel 2016 al Cairo. Incriminati quattro agenti dei servizi segreti egiziani.

Lo dicono i muri di Roma
(Keystone)
10 dicembre 2020
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Roma – Ci sarà un processo in Italia per il brutale omicidio di Giulio Regeni, "seviziato per giorni con oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni" e poi ucciso. La Procura di Roma ha chiuso gli accertamenti e notificato, col "rito degli irreperibili", vista la totale mancanza di risposta da parte dell'Egitto sull'elezione di domicilio, la conclusione delle indagini nei confronti di quattro appartenenti ai servizi segreti del Cairo a cui vengono contestati, a seconda delle posizioni, i reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

"Abbiamo acquisito elementi di prova univoci e significativi. Questo è un risultato estremamente importante e non scontato - ha detto il procuratore Michele Prestipino davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta -. Abbiamo fatto di tutto per accertare ogni responsabilità: lo dovevamo a Giulio e all'essere magistrati di questa Repubblica".

I genitori criticano il Governo

Per i genitori del ricercatore, Paola e Claudio, "oggi è una tappa importante per la democrazia italiana e per l'Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civilità per i diritti umani, che è come se agisse Giulio". Quindi la richiesta di richiamare l'ambasciatore italiano e le critiche al Governo: "la ricerca di verità è stata messa in secondo piano dando priorità alla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto e a sviluppare i reciproci interessi in campo economico, finanziario e militare, vedi la recente vendita delle fregate. Presidente Conte, ministro Di Maio, che state facendo per la verità su Giulio?".

Sotto processo rischiano di finire il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Soltanto quest'ultimo, oltre al sequestro di persona pluriaggravato contestato a tutti, è accusato di lesioni personali aggravate (essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio del 2017) e l'omicidio del ricercatore friulano. Chiesta l'archiviazione invece per Mahmoud Najem, "per il quale - spiega una nota della Procura di Roma - non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l'accusa in giudizio".

Il sequestro e le torture

Nell'atto di conclusione delle indagini viene ricostruita la terribile vicenda. Tutto parte "dalla denuncia presentata, negli uffici della National security, da Said Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti del Cairo Ovest". I quattro indagati "dopo aver osservato - scrivono i pm - e controllato direttamente ed indirettamente, dall'autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni, abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all'interno della metropolitana del Cairo". Regeni venne quindi condotto "contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly" dove venne "privato della libertà personale per nove giorni".

Fondamentali alle indagini sono risultate cinque testimonianze, raccolte nei mesi anche dal legale della famiglia Regeni, che hanno fornito tasselli di "verità" su quanto avvenuto. Secondo i testi il torturatore di Giulio fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Fu lui, insieme a soggetti rimasti ignoti, a portare avanti per almeno nove giorni le sevizie. Torture "durate giorni che causarono a Regeni "acute sofferenze fisiche" messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Torture avvenute nella stanza 13 al primo piano di una villa utilizzata dai servizi segreti come scannatoio per i "sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale". "L'ho visto li dentro - ha raccontato un testimone - con ufficiali e agenti. C'erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato".

Depistaggi e rogatorie a vuoto

Nel corso dell'audizione davanti alla commissione parlamentare, il pm Sergio Colaiocco ha ricordato i tanti depistaggi messi in atto dalle autorità egiziane e i silenzi seguiti alle richieste trasmesse con una serie di rogatorie. "Ci sono altri 13 soggetti - ha affermato il sostituto procuratore - nel circuito degli indagati, ma la mancata risposta ai nostri quesiti da parte delle autorità egiziane ci ha impedito di proseguire negli accertamenti". 

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