Estero

Crollo record per il Pil, Trump ventila il rinvio delle elezioni

L'economia statunitense si è contratta dei oltre il 30% tra aprile e giugno. Il presidente, pronto a tutto, spara sul voto per corrispondenza.

(Keystone)
30 luglio 2020
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New York/Washington – La maggiore contrazione di sempre, la peggiore da quando è iniziata la raccolta dei dati 70 anni fa. Il prodotto interno lordo (Pil) americano crolla del 32,9% nel secondo trimestre, in un calo paragonabile solo alla Grande Depressione e al secondo dopoguerra. Anche se migliore delle attese che scommettevano su una flessione del 34,7%, il tracollo pesa sulle borse: le piazze finanziarie europee chiudono tutte in profondo rosso complice anche la brusca frenata dell'economia tedesca che, nel periodo aprile-giugno, si è contratta del 10,1%, un record. Pesante Wall Street, dove gli scambi risentono della doccia fredda del Pil e dell'ipotesi ventilata da Donald Trump di ritardare le elezioni fino a quando il voto non sarà sicuro.

Barack Obama lo va dicendo da giorni: "Quello che non mi fa dormire la notte è che Donald Trump si prepari a contestare la legittimità del voto". Peggio, l'ex presidente teme una vera e propria deriva autoritaria: "Se non lo fermiamo in tempo potrebbero accadere brutte cose, come in Europa 60, 70 anni fa". Puntuale è arrivato l'ennesimo tweet shock del tycoon, che per la prima volta ipotizza il rinvio delle elezioni presidenziali del 3 novembre, un fatto senza precedenti nella storia americana: potrebbe rendersi necessario - spiega - per l'elevato rischio di brogli. Uno scenario che aprirebbe la strada a una crisi costituzionale mai vista negli Stati Uniti.

Pronto a tutto

Ma Trump ormai è sempre più deciso a giocare tutte le carte, anche con mosse spregiudicate. In caduta libera nei sondaggi, con un virus che uccide un americano al minuto e un'economia entrata in profonda recessione, non stupisce quindi che il tycoon valuti la cosiddetta 'opzione nucleare': con il voto per posta per evitare il contagio in tempi di pandemia "le elezioni del 2020 sarebbero le più scorrette e fraudolente della storia. Sarebbero di grande imbarazzo per gli Usa", ha twittato il presidente, negli stessi minuti in cui la breaking news del Pil americano crollato del 32,9% nel secondo trimestre faceva il giro del mondo. "Ritardare il giorno delle elezioni fino a quando la gente potrà votare in modo appropriato e sicuro?", si chiede quindi il tycoon.

Una provocazione forse, ma intanto Trump comincia instillare il dubbio, a seminare l'idea che il voto per posta aumenta in maniera esponenziale il pericolo delle interferenze straniere e di elezioni falsate. Del resto è da mesi che va avanti la sua campagna contro le schede elettorali inviate direttamente nelle case degli americani: un sistema che i repubblicani vorrebbero limitare il più possibile e che i democratici vorrebbero invece estendere il più possibile, convinti di assicurarsi così più consensi.

Data delle elezioni 'scolpita nella pietra'

L'uscita di Trump però non è piaciuta a gran parte dei vertici e dell'establishment del partito repubblicano: "La data del voto è scolpita nella pietra", ha reagito il leader della maggioranza conservatrice in Senato, Mitch McConnell. Mentre la speaker della Camera Nancy Pelosi ammonisce: "A decidere è solo il Congresso".

In effetti per la costituzione americana a fissare la data del voto può essere effettivamente solo il Congresso. E qualunque essa sia il presidente e il vicepresidente in caso di sconfitta devono comunque lasciare la Casa Bianca categoricamente il 20 gennaio a mezzogiorno. Con la Camera attualmente in mano ai democratici, poi, è improbabile se non impossibile che la data del voto possa essere cambiata con una nuova legge.

Economia pietra al collo di Trump?

Una provocazione quella del presidente americano che alimenta lo spettro di una forte incertezza politica nei prossimi mesi e che rischia di condizionare le trattative in corso per il nuovo piano di stimoli all'economia. I democratici e i repubblicani lavorano dietro le quinte ma, come ammesso dalla stessa Casa Bianca, le posizioni restano profondamente distanti con i conservatori che propongono aiuti per 1.000 miliardi di dollari e i liberal che ne vogliono almeno 3.000 per rilanciare un'economia in crisi profonda e un mercato del lavoro in forte difficoltà.

I numeri d'altronde non lasciano adito a dubbi: al crollo del Pil si somma il nuovo aumento delle richieste di sussidi alla disoccupazione che, per la diciannovesima settimana consecutiva, sono sopra il milione. Cifre che gelano il tycoon a pochi mesi dalle elezioni: con una ripresa al palo Trump teme l'affievolirsi delle sue chance elettorali. Da qui il pressing per nuovi stimoli per aiutare gli americani alle prese con il coronavirus da un lato e una crisi economica senza precedenti dall'altro.

 

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