Estero

Italia, il coronavirus azzera gli sbarchi, ma è allarme braccianti

La presenza dei migranti è sempre stata funzionale all'agricoltura, spiega un sindaco calabrese. E le baraccopoli diventano luogo di sofferenze e risentimenti

1 aprile 2020
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Sono sempre meno i migranti in arrivo per mare, sempre più in difficoltà quelli che in Italia ci sono già e che possono e cercano di lavorare nel paese congelato dalla pandemia. Succede ad esempio ai braccianti che raccolgono frutta e verdura nei campi, fermati spesso ai controlli ma senza un contratto regolare da mostrare. Alcuni riescono a lavorare ma non sempre con guanti e mascherine. Va ancora peggio a chi sulla testa ha una lamiera, una tenda o il tetto di una masseria abbandonata. Restano lì tutto il giorno e convivono con il rischio altissimo di contagiarsi fra loro. È nella piana di Gioia Tauro, in Calabria, e nei 'ghetti' del Foggiano che suona l'allarme di associazioni e sindaci alle prese con tensioni sempre più forti tra scarsa sicurezza, spostamenti vietati e povertà imminente.

Del resto la fotografia dei migranti in arrivo in Italia è ferma al 27 marzo: allora 44 stranieri sono sbarcati sulle coste brindisine. Secondo il Viminale, a marzo gli sbarchi sono stati 241. Erano 262 nel marzo di un anno fa e 1049 dodici mesi prima. Altri tempi, quando anche gli hotspot soffrivano. Ora solo quello di Pozzallo ha 40 persone. Zero fra Lampedusa, Messina e Taranto. In calo pure le presenze nei centri di permanenza per rimpatri: 344 secondo il Garante nazionale (in discesa dal 12 marzo, quando erano 425) e fermi i rimpatri. L'allerta si concentra quindi soprattutto sui braccianti nei 'ghetti'. Circa 2500 quelli sparsi negli otto insediamenti abusivi della provincia di Foggia tra cui la baraccopoli di Borgo Mezzanone. Un migliaio in Calabria, fra tendopoli e campi nella Piana che raccolgono arance e clementine. "Ora che c'è il problema delle forniture di cibo nei supermercati con il coronavirus, si 'scopre' che questi lavoratori servono – denuncia Francesco Piobbichi del progetto braccianti di Mediterranean Hope a Rosarno –. Ma a maggior ragione devono avere risposte rapidamente e condizioni dignitose di vita, da parte delle istituzioni". Alias sicurezza, regolarizzazione e ghetti da smontare, ripetono le ong della zona.

Finita la stagione degli agrumi, i migranti si spostano verso Saluzzo per la raccolta di pesche, albicocche, mele o i pomodori in Puglia. "Ma ora sono bloccati, come faranno a spostarsi? Già vengono fermati in questi giorni e rimandati indietro se non hanno un contratto. Ma senza lavoro, come mangiano?", chiede Ruggero Marra dell'Usb calabrese. Sono quasi tutti uomini tra i 20 e 40 anni, per lo più africani. Fra loro, i 440 della tendopoli di San Ferdinando, borgo calabrese di 5000 abitanti. La struttura è lì dall'estate 2017, sopravvissuta a quella sgomberata un anno fa da Matteo Salvini e conta in tutto 7 bagni. Ieri alcuni che vivono lì hanno protestato chiedendo aiuti per mangiare e fare la spesa e contro i piatti pronti che stava per preparare una cucina da campo, sollecitata anche dal Comune. Perciò è "sconcertato e addolorato" il sindaco Andrea Tripodi che rimarca: "la presenza dei migranti qui non scende dal cielo, è sempre stata funzionale alla nostra agricoltura ma una tendopoli deve restare finché c'è l'emergenza. Oltre, è inutile. È solo un luogo di sofferenze e risentimenti".

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