Estero

Impeachment: la testimonianza fa tremare Trump

Il testimone chiave dell'Ucrainagate ammette che a dare gli ordini fu il presidente statunitense

20 novembre 2019
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"Agimmo su ordine di Trump, che ci disse di lavorare col suo avvocato Rudy Giuliani". "Ci fu un quid pro quo", con gli aiuti militari e l'invito alla Casa Bianca per il presidente ucraino Volodymyr Zelensy subordinati all'apertura di un'inchiesta sui Biden. "Tutti sapevano", compresi il segretario di stato Mike Pompeo e il vicepresidente Mike Pence. Sono i tre punti chiave della esplosiva testimonianza dell'ambasciatore Usa alla Ue di Gordon Sondland nell'indagine di impeachment alla Camera.

Pompeo pensa alle dimissioni

Una deposizione che fa tremare non solo il presidente ma i vertici dell'intera amministrazione, con Pompeo che già pensa alle dimissioni e a un più sicuro posto in Senato il prossimo anno nel suo Kansas. Anche se il segretario di Stato rivendica l'operato: 'Ho lavorato alla politica americana sull'Ucraina e sono orgoglioso di questo, perché abbiamo fatto bene', dice dalla ministeriale Nato a Bruxelles. "È il colpo di grazia", commentano alcuni dei candidati presidenziali dem, il cui quinto dibattito tv stasera ad Atlanta rischia di essere completamente oscurato da questa deposizione bomba.

L'uomo del presidente

A far crollare come un castello la linea difensiva del presidente è un testimone chiave, un ambasciatore nominato dal tycoon e suo donatore, uno che comunicava direttamente con lui, a differenza di quanti lo hanno preceduto finora. E che inizialmente sembrava poter essere un teste a suo favore, in quanto aveva escluso ogni quid pro quo. Poi, messo alle strette da altre deposizioni e dal rischio di essere accusato di spergiuro, ha rettificato il tiro ed oggi Trump ha preso le distanze: "Non lo conosco molto bene". Sondland ha dichiarato che alle pressioni su Kiev lavorò con Giuliani, l'avvocato personale di Trump, su "espresso ordine del presidente". Il diplomatico ha precisato che il tycoon non gli disse "mai direttamente" che la visita alla Casa Bianca e gli aiuti militari a Kiev erano subordinati all'apertura di un'inchiesta ma, ha ammesso, "era chiaro a tutti che c'era un legame". Inoltre le indicazioni di Giuliani "riflettevano i desideri e le richieste" del tycoon.

Un malinteso

"Ci fu quid pro quo? La risposta è sì", ha quindi ammesso Sondland, infliggendo un duro colpo ad uno dei capisaldi della difesa di Trump e facendo sbiancare i deputati repubblicani, spiazzati su tutti i fronti. Il diplomatico ha poi respinto l'accusa di aver fatto parte di un'operazione segreta per aggirare i canali diplomatici ufficiali: "Tutti erano tenuti informati, non era un segreto", ha affermato, chiamando in causa Pompeo e due suoi collaboratori, il capo ad interim dello staff della Casa Bianca Mick Mulvaney, il consigliere di quest'ultimo Rob Blair, il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, la sua vice Fiona Hill e il suo successore Timothy Morrison. Sondland ha inoltre rivelato di aver confidato a Pence il primo settembre, prima che incontrasse Zelensky a Varsavia, che gli aiuti militari americani sembravano essere bloccati per la richiesta di indagini. "Il vice presidente annuì", ha aggiunto, smentendo così anche il numero due dell'amministrazione, che finora ha sostenuto di essere stato all'oscuro di tutto.

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