Estero

Profughi, Erdogan minaccia l'Ue: 'Aiuti o apriamo le frontiere'

Il presidente turco lamenta che il proprio Paese non è in grado di gestire da sola i 3,6 milioni di profughi siriani accolti

(Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Foto Keystone))
5 settembre 2019
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Riportare a casa un milione di siriani dalla Turchia. Per lanciare la sua ultima sfida, Recep Tayyip Erdogan torna a sfoderare l'arma della minaccia all'Europa: Bruxelles dia sostegno economico e politico alla creazione di una "zona di sicurezza" nel nord della Siria o Ankara potrebbe spalancare le frontiere come nel 2015, quando un milione di profughi si riversò nell'Unione europea. "Potremmo essere costretti ad aprire le porte. Non possiamo gestire questo fardello da soli", ha avvisato il presidente turco, sostenendo che il suo Paese "non ha ricevuto dal resto del mondo, e soprattutto dall'Ue, il supporto necessario".

L'ambizioso piano prevede la ricollocazione di quasi il 30% dei 3,6 milioni di siriani attualmente registrati in Turchia in una zona cuscinetto profonda circa 30 km e larga 450 km, la metà di tutta la frontiera. In quest'area Erdogan punta a gestire la ricostruzione, mettendo in piedi "città invece di tende", anche attraverso gli invocati aiuti europei. La minaccia riecheggia quella che spinse Bruxelles a negoziare l'accordo del marzo 2016. "Confidiamo di poter continuare il lavoro in buona fede con i nostri partner turchi", ha replicato più tardi una portavoce della Commissione, sottolineando che "ad oggi l'Ue ha allocato 5,6 dei 6 miliardi di euro che erano stati concordati".

Il punto di partenza del progetto è la "safe zone" nel nord-est della Siria, su cui un mese fa è stato raggiunto un accordo di principio con gli Stati Uniti per allontanare dal territorio turco le milizie curde dell'Ypg, alleate di Washington nella lotta all'Isis ma ritenute "terroriste" da Ankara. "Da qui a fine settembre, siamo determinati a mettere in pratica la zona di sicurezza come noi la vogliamo a est dell'Eufrate", ha assicurato il leader di Ankara, che intende affrontare la questione direttamente con Donald Trump tra una ventina di giorni a margine dell'Assemblea generale dell'Onu a New York. In Siria sono già rientrati "volontariamente" circa 350 mila rifugiati, mentre il governo turco ha stretto quest'estate le maglie interne, fermando migliaia di siriani che avevano lasciato le province assegnate per cercare lavoro o condizioni migliori a Istanbul. Ma un'altra potenziale ondata di profughi preme da Idlib, dove resta fragile - e risulta già ripetutamente violata - la tregua annunciata nei giorni scorsi dalla Russia tra i lealisti di Assad e gli insorti qaedisti e filo-turchi.

In difficoltà interna, tra le fronde dei big del suo partito e le brucianti sconfitte alle comunali di Istanbul e della capitale Ankara, Erdogan prova così a tornare protagonista a livello internazionale con la consueta retorica contro i poteri forti. Di poche ore fa è un'altra provocazione, stavolta sull'atomica, mentre nella regione pesa già la crisi iraniana. "Alcune nazioni - ha detto il presidente turco - hanno missili con testate nucleari - e non solo una o due. Ma io non dovrei avere missili con testate nucleari? Non lo accetto".

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