Estero

Brexit, non un giorno di più

Se il parlamento di Londra non approverà il meccanismo di uscita dall’Unione già concordato lo sbocco sarà il ‘no deal’

(Keystone)
22 marzo 2019
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Altro che 30 giugno. Il rinvio della Brexit non potrà andare oltre il 22 maggio, la data che precede il primo giorno di voto per le elezioni europee. La risposta dell’Unione alla richiesta di proroga inviata da Theresa May non è probabilmente quella che la first minister si aspettava, ma sembra la sola che possa evitare un nuovo caos istituzionale. Se infatti il tempo concesso a Londra superasse la data delle europee, il regno Unito sarebbe tenuto a parteciparvi. D’altro canto, il margine ancora più ridotto è anche condizionato dall’approvazione da parte dei Comuni dell’accordo eurobritannico già bocciato due volte. Un miracolo, praticamente. Al quale più nessuno crede, ormai, soprattutto dopo che May ha accusato i propri parlamentari di inettitudine, incapaci di amministrare un’uscita ordinata dall’Ue, dando seguito alla volontà popolare espressa col referendum. Il discorso della leader Tory, come era prevedibile, ha acceso gli animi esacerbando una situazione già difficile, con prevedibili ripercussioni sul nuovo voto, peraltro non ancora in agenda.

A dare la misura di quanto profonda sia la spaccatura al Parlamento di Londra, anche la missione del leader del Labour Geremy Corbyn che ieri, alla vigilia del vertice europeo di oggi e domani, si è precipitato a Bruxelles per incontrare il capo negoziatore della Ue Michel Barnier cercando di convincerlo della bontà del suo piano per scongiurare il caos e salvare Regno Unito e Unione. L’alternativa all’estensione breve per il momento è quella di una Brexit no deal, lo avrebbe ammesso la stessa May. Nel suo lungo intervento per convincere i partner a concedere la proroga, ha ripetuto di non essere disponibile ad organizzare le elezioni per il parlamento di Strasburgo, soddisfacendo così la condizione richiesta per valutare rinvii più lunghi. All’esame dei 27 May è apparsa evasiva: non ha saputo indicare una data per il nuovo voto sull’accordo, né come pensa di arrivarci, o con quale maggioranza, lasciando dietro di sé uno strascico di timori e scetticismo.

Un esercizio di realismo l’ha proposto Emmanuel Macron. Il presidente francese ha invitato a guardare in faccia la realtà: se il terzo voto a Westminster fosse negativo “andremmo verso un’uscita senza accordo. Lo sappiamo tutti. Non possiamo andare a proroghe più lunghe che potrebbero avere conseguenze sul buon funzionamento dell’Ue”, ha avvertito. Un’intransigenza in cui molti leggono un bluff. A fargli da contraltare è stata infatti la sua più stretta alleata, Angela Merkel: “Lotterò fino all’ultimo minuto perché si arrivi ad un’uscita ordinata”. We’ll see.

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