Gran Bretagna

Brexit, tutti i passi falsi di Theresa May

Dal voto anticipato ai bluff: ecco cosa non ha favorito la premier in vista del voto odierno dei Comuni sull'accordo sull'uscita del Regno Unito dall'Ue

May (Keystone)
15 gennaio 2019
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Oggi Theresa May si gioca il tutto e per tutto nel voto ai Comuni sull'accordo sulla Brexit. Una resa dei conti che arriva, secondo molti osservatori, dopo molti errori commessi dalla prima ministra in due anni e mezzo.

Il più macroscopico è stato certamente lo scioglimento anticipato della legislatura con l'intento di chiedere al Paese un mandato più forte di quello che aveva già, perdendo invece la maggioranza assoluta nel voto del giugno 2017. Un passo che l'ha obbligata ad allearsi con gli unionisti nordirlandesi del Dup, a cedere a molte delle loro richieste, rinfocolando liti interne al suo stesso partito conservatore. E riportando il Parlamento al centro del processo, con tutti i pro e i contro.

Tra gli altri passi falsi c'è poi la mossa del primo governo May, a marzo 2017, di attivare l'articolo 50, innescando la procedura di divorzio dall'Ue senza avere formulato prima né un piano da negoziare con Bruxelles, né una strategia da sottoporre, se non al Parlamento, almeno alla sua maggioranza.

May inoltre, secondo molti analisti, vendette troppo presto la 'pelle dell'orso', facendo credere ai suoi che in un modo o nell'altro avrebbero strappato un accordo favorevole, deludendo le aspettative a provocando la fronda dei 'brexiteer' più oltranzisti e lo scontento dei pro-Ue.

Un errore strategico è stato poi di non ascoltare né le argomentazioni e le preoccupazioni di imprese e mondo della finanza, né le contrarietà della Scozia (che nel referendum votò per restare), o del Galles, dove pure il Leave vinse, ma solo i nordirlandesi unionisti (contrari all'apertura del confine e al backstop) in quanto partner di governo.

La sua posizione originaria, secondo cui "nessun accordo è meglio di un cattivo accordo", è stato un bluff mal calcolato tanto nei confronti dell'Ue, che è stata costretta - si commenta - a far retrocedere tutte le 'linee rosse' poste nelle fasi iniziali, quanto dei suoi ministri 'brexiteer' più oltranzisti, che uno dopo l'altro sono usciti dalla sua compagnie, insoddisfatti. Ministri che sono riusciti a indisporre la controparte di Bruxelles e i Paesi membri, peggiorando il clima negoziale.

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