Estero

Migrazioni, rischi limitati per stato sociale e lavoro

Il rapporto annuale dell'Ocse per comprendere le dimensioni del problema: 'Le paure fanno a pugni con la realtà'

21 giugno 2018
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Chissà se gli alti papaveri della politica europea se lo porteranno dietro, in questo fine settimana di vertici e riunioni sul tema dei migranti. Fatto sta che il rapporto annuale sulle migrazioni pubblicato ieri dall’Ocse è un ottimo strumento per capire le dimensioni del problema, invece di affidarsi a slogan e sensazionalismi. Il ‘Migration Outlook’ parte dai numeri, piuttosto netti: “Tra gennaio 2014 e il dicembre 2017 i Paesi europei hanno ricevuto 4 milioni di nuove richieste di asilo, ossia tre volte tanto” rispetto ai 4 anni precedenti. Il numero assoluto, però, va subito messo nella prospettiva di un continente che conta oltre 500 milioni di abitanti.

Nessuna invasione

Il confronto lascia poco spazio agli allarmismi: entro il 2020 si prevede che i rifugiati ‘gonfieranno’ la forza lavoro di meno dello 0,3%, con un picco massimo dello 0,8% in Germania, Austria e Svezia. “Le paure circa l’impatto dei rifugiati sul mondo del lavoro fanno semplicemente a pugni con la realtà”, spiega il segretario generale Angel Gurrìa. Questo non significa che siano tutte rose e fiori. Intanto, perché la ‘concorrenza’ dei nuovi arrivati sarà comunque più forte per i lavoratori maschi con un basso livello di istruzione e competenze, un segmento nel quale il numero di candidati potrà crescere anche del 15%. Poi c’è da considerare il destino di chi si vedrà negato un permesso, e che potrebbe andare a ingrossare le file dei clandestini condannati al lavoro nero.

Welfare sostenibile

Infine, la difficile integrazione lavorativa dei rifugiati – almeno nel breve periodo – comporta alcuni costi sociali dovuti alla disoccupazione, che potrebbe salire di quasi l’1% nel 2020 rispetto al 2013; ma con enormi differenze regionali: in Germania si potrebbe arrivare al 6,7%. Anche in questo caso, però, quelli del ‘refugee welfare’ non dovrebbero rivelarsi costi insostenibili: finora hanno oscillato fra lo 0,1% del Pil in Svizzera e lo 0,9% in Svezia, con una media europea 2016-18 prevista attorno allo 0,6%. Inoltre, ferma restando l’importanza dei programmi di inserimento linguistico e professionale, quello del ‘rifugiato disoccupato’ è un problema che si riduce enormemente nel giro di pochi anni dall’arrivo. Ne consegue una riduzione di due terzi dei costi sociali a 7 anni dallo ‘sbarco’. In conclusione: “Gli effetti sul mondo del lavoro della recente ondata di rifugiati saranno probabilmente limitati e graduali”. 

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