Estero

Cuba, dopo Castro arriva Diaz-Canel

Il nuovo presidente non era ancora nato ai tempi della rivoluzione, ma il castrismo resta dov’è

18 aprile 2018
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La vecchia guardia muore, ma non si arrende. Il vecchio cri de coeur del generale Cambronne si presta a spiegare quanto sta succedendo a Cuba in queste ore: la successione alla presidenza dell’isola promette di archiviare la dinastia dei Castro e dei loro compagni di rivoluzione, ma la pratica si annuncia più complessa della teoria.

Con il ritiro dalla vita pubblica di Raúl Castro, fratello di Fidel, i 605 deputati dell’Assemblea Nazionale devono eleggere oggi un nuovo presidente, oltre a sei vicepresidenti e ai nuovi membri del Consiglio di stato, massimo organo esecutivo. L’erede designato di Castro dovrebbe essere Miguel Díaz-Canel, 57enne ingegnere elettronico e attuale primo vicepresidente. Sarebbe il primo presidente cubano nato dopo la rivoluzione del 1959.

Canel, uomo organico al partito ed ex ministro dell’istruzione, ha saputo coltivare un’immagine modesta e amichevole. Quando governava la sua provincia di origine, Villa Clara, era noto perché usava la bici invece dell’auto di servizio, girava in bermuda e portava i capelli lunghi. A livello politico, si registra la sua apertura a favore di internet, della stampa libera e dei diritti degli omosessuali. Il ricambio generazionale dovrebbe poi interessare l’intero Consiglio, con la probabile uscita di dirigenti storici come José Ramón Machado Ventura e Ramiro Valdés.

Ma il rischio è quello di cambiare tutto per non cambiare nulla: la generación histórica manterrà infatti il controllo del partito unico cubano, cui l’esecutivo è di fatto subordinato e a capo del quale dovrebbe rimanere proprio Raúl Castro. Nel frattempo Canel ha già raffreddato le fregole riformiste, rassicurando la vecchia guardia con attacchi ai media troppo critici e bollando la distensione dell’embargo statunitense come un tentativo di distruggere la rivoluzione.

Parole (e democrazia) a parte, è pur vero che il presidente dovrà puntare subito su risultati pragmatici, dato che non può avvolgersi nela stessa aura di cui godono i vecchi rivoluzionari. È possibile che cerchi la popolarità con misure come l’espansione dell’accesso a internet e la riforma del mercato del lavoro, che attende da tempo la liberalizzazione delle microimprese. La congiuntura economica, d’altronde, impone misure urgenti per frenare il deterioramento delle condizioni di vita (vedi sotto). Se infatti il governo riesce ancora a garantire cibo e servizi essenziali, anche eccellenze come quella sanitaria stanno mostrando i segni di un’aspra recessione. Quanto a democrazia e libertà, ci sarà da aspettare.

L'economia cubana fra crisi e nuovi alleati

Nessuno può ripararla, ma nessuno può distruggerla: questo l’adagio col quale i Cubani descrivono le condizioni economiche dell’isola. Fatalismo a parte, il collasso di un partner strategico come il Venezuela ha contribuito a spingere Cuba in condizioni di ulteriore miseria. Coi sussidi in forse e le forniture di petrolio dimezzate, L’Avana è in recessione ufficiale dal 2016, per la prima volta dopo il crollo dell’Urss. Beni e servizi come sale ed elettricità scarseggiano, anche perché le riserve di valute estere necessarie all’import si assottigliano.

Ora il governo cubano sta cercando (timidamente) di promuovere piccole produzioni e commerci famigliari. E mentre si sondano soluzioni alla ‘cinese’ o alla ‘vietnamita’ - libertà economica, dispotismo politico - si cercano partner internazionali. La détente con gli Usa di Obama si è fermata nell’era Trump, complici misteriosi attacchi acustici che hanno causato numerosi malori all’ambasciata Usa. Si fanno largo invece la Cina e la Russia, interessata soprattutto agli investimenti petroliferi.

Resta il gravissimo problema della doppia valuta: il Peso convertibile, agganciato al dollaro, alimenta un’economia artificiale, parallela a quella del Peso comune. Unificarli rischia di rendere proibitivo l’import e di far saltare i bilanci di metà delle imprese statali.

 
 
 
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