Estero

Mosca blocca Telegram, ma è già pronto il bypass

Secondo il tribunale i responsabili dell'app sono colpevoli di non aver consegnato ai servizi di sicurezza russi le chiavi per decrittare i messaggi degli utenti

Keystone
13 aprile 2018
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La lunga disputa tra le autorità russe e la popolare applicazione di messaggistica Telegram si è conclusa con il blocco dell’app, decisa dal tribunale Tagansky di Mosca. La colpa di Telegram? Non aver consegnato ai servizi di sicurezza federali (Fsb) le chiavi per decrittare i messaggi degli utenti, così come stabilito dalla Corte Suprema. Una scelta rivendicata con orgoglio dal fondatore di Telegram, Pavel Durov. Pure lui russo. «La privacy non si vende e i diritti umani non possono essere sacrificati per paura o per avidità», ha detto Durov, che ha proibito ai propri legali di recarsi in aula per evitare di prendere parte alla «sceneggiata».

Telegram ricorrerà in appello ma il blocco, intanto, è esecutivo e da lunedì i provider inizieranno a tradurlo in realtà. Sempre che ci riescano. Durov ha infatti assicurato che la compagnia ha già previsto «metodi incorporati per bypassare il blocco». E poi c’è sempre la possibilità di usare Vpn. Insomma, «prendimi se ne sei capace». Un gioco tra gatto e topo alquanto surreale, soprattutto perché Telegram è l’app preferita dalle élite russe: lo dimostrano i numerosi canali dedicati alla politica, spesso fonte di ghiotte indiscrezioni sulla ’corte di Putin’, nonché le chat ufficiali fra portavoce e giornalisti (Cremlino compreso). L’assalto all’app era partito dopo l’attentato di aprile 2017 alla metro di San Pietroburgo, organizzato, secondo l’Fsb, proprio su Telegram. Una versione dei fatti che Durov – che ha lasciato la Russia e vive all’estero – ha bollato come una "strumentalizzazione". Durov è spesso definito come lo Zuckerberg russo poiché è il fondatore di VKontakte, il principale social network del Paese (da cui venne estromesso a forza dalle autorità). La vicenda – scrive Meduza – può essere vista come un simbolo della Russia di oggi, che fa la "guerra al suo futuro" invece che celebrare e sostenere chi, nella digital economy dominata dagli Usa, è stato in grado di creare società di successo in tutto il mondo.

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