Estero

Gaza soffoca

Il naufragio degli accordi fra Hamas e Fatah si aggiunge all’embargo di Israele ed Egitto

15 febbraio 2018
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“Siamo morti, anche se respiriamo”. La migliore sintesi della situazione nella Striscia di Gaza la offre un 57enne del posto, mentre cucina per i suoi tre nipotini le stesse erbacce che normalmente darebbe in pasto agli asini. Intanto le prigioni si riempiono di commercianti sommersi dai debiti, i furti aumentano, i bambini saltano la scuola per guadagnare due soldi raccogliendo menta e improvvisandosi lavavetri. La poca merce resta ferma sui banchi dei mercati, mentre i venditori se ne stanno in disparte a leggere il Corano, condannati all’ozio forzato: “Non ci sono acquirenti, non ci sono soldi”, commentano.
Sono le testimonianze raccolte pochi giorni fa dal ‘New York Times’, che alla nuova emergenza di Gaza ha dedicato un lungo reportage. Anche le Nazioni Unite hanno messo in guardia circa il disastro umanitario nel lembo di terra incuneato fra Israele, l’Egitto e il Mediterraneo. 360 chilometri quadrati, all’incirca la stessa superficie del Distretto di Blenio, ma con quasi due milioni di abitanti invece di 5’700.

A far precipitare la situazione è anzitutto l’inasprirsi del confronto fra Hamas (che controlla la Striscia) e Fatah (al potere in Cisgiordania e a capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, Anp). A nulla è servito l’accordo siglato in ottobre al Cairo, che prevedeva il coinvolgimento di Hamas nel governo dell’Anp, in cambio della cessione all’Autorità del controllo su Gaza e i suoi confini. Accordo naufragato a causa di scadenze non rispettate e della rimozione del capo dei servizi segreti egiziani, eminenza grigia dei negoziati.

Ora Hamas – considerata organizzazione terroristica da Israele, Usa e Ue – ha bloccato il trasferimento delle entrate fiscali all’Anp, mentre Fatah ha sospeso il pagamento degli stipendi ai 50mila dipendenti dell’Autorità nella Striscia (in realtà senza lavoro da quando Hamas prese il potere nel 2007). Risultato: salari dimezzati, pensionamenti forzati.

Intanto i vicini continuano a bloccare l’afflusso di beni di prima necessità. Israele sta costruendo un muro sotterraneo lungo 60 chilometri, dal costo di un miliardo di dollari, per sbarrare i tunnel utilizzati dai contrabbandieri palestinesi allo scopo di aggirare l’embargo. L’Egitto continua a chiudere a intermittenza il valico di Rafah, ultimo spiraglio per le merci contrabbandate, e preme per la chiusura dei tunnel sotto il Sinai. Sicché ad Hamas non restano quasi più beni da tassare per tenere in vita il governo locale. Non solo: il presidente Donald Trump ha deciso di dimezzare da 125 a 60 milioni i fondi che gli Usa avrebbero dovuto destinare quest’anno all’agenzia Onu per il soccorso dei palestinesi.

Il risultato di tutto ciò è la scomparsa di beni essenziali quali i medicinali e l’acqua potabile. Gli ospedali chiudono uno dopo l’altro: manca il carburante per alimentarne le attrezzature. L’impianto fognario è al collasso e il rischio di un’epidemia di colera è estremamente elevato. Il 70 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. La classe media è scivolata nella miseria e i nuovi poveri “cercano di ottenere prodotti avariati pagabili poco o nulla”, racconta il Times.

Fatah segue la linea dura per ottenere una resa incondizionata di Hamas, pur sapendo che per ottenerla dovrà mettere in ginocchio l’intera popolazione per mesi o addirittura anni. “Sta per avere luogo un’esplosione”, prevede un pensionato dell’Anp, e “abbiamo solo Israele contro il quale esplodere”.

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