Confine

Fisco e frontalieri, la lettera a Roma e Berna di Fontana e Vitta

Il governatore lombardo e il direttore del Dfe, fino a poco fa presidente del governo, ai due ministri: 'Sbloccate l'accordo sulla fiscalità'

Ti-Press
28 maggio 2020
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"Alla luce di questi numeri (350 milioni di franchi che il Canton Ticino come ristorni dei frontalieri ha versato all'Italia, ndr) e, considerato l'aumento esponenziale dei lavoratori frontalieri in questi anni, è comprensibile da parte dell'opinione pubblica un sentimento di preoccupazione: sia in termini di tutela del mercato del lavoro, sia per quanto concerne la mobilità transfrontaÍiera e dell'ambiente". Così scrivono in premessa Attilio Fontana, governatore lombardo, e Christian Vitta, all'epoca presidente del Consiglio di Stato (la lettera è del 30 aprile) a Roberto Gualtieri, ministro delle Finanze italiano e a Ueli Maurer, suo omologo elvetico, per sbloccare l'accordo sull'imposizione fiscale dei frontalieri che, parafato il 15 dicembre 2015, continua ad essere lettera morta.

Una missiva, quella firmata da Fontana e Vitta, che sta provocando forti reazioni sul versante italiano e fra le organizzazioni sindacali, sia italiane che svizzere e che continua così: "Regione Lombardia e Canton Ticino ritengono essenziale che le rispettive autorità centrali trovino al più presto una soluzione che tenga conto degli interessi delle parti e che soprattutto permettano di uscire dall'attuale impasse creatasi attorno al rinnovo dell'accordo fiscale. Questa situazione di stallo concorre a nuocere alle parti, frenando il potenziale della cooperazione transfrontaliera, creando incertezze e tensioni, e soprattutto alimentando i pregiudizi nei confronti dei lavoratori frontalieri italiani".

I due presidenti ricordano gli incontri che si sono succeduti negli ultimi anni per elaborare proposte per superare eventuali ostacoli. Vitta e Fontana nel formulare "osservazioni e raccomandazioni volte a favorire una rapida firma e ratificazione dell'accordo sulla fiscalità dei lavoratori frontalieri" sottolineano come "l'indecisione rispetto all'Accordo parafato non sia una soluzione auspicabile. L'accordo del 1974 nella sua impostazione, che prevede una trattenuta fiscale a favore dei Comuni di frontiera, ha svolto un ruolo importante a favore dello sviluppo del territorio e della cooperazione transfrontaliera. Tuttavia fu siglato in un'epoca contestualmente molto diversa, quando i frontalieri italiani che lavoravano nel Canton Ticino erano poco più di 5'000 unità e non è più al passo con i tempi, e va dunque abrogato contestualmente all'adozione del nuovo accordo".

La Regione Lombardia e il Cantone Ticino considerano positivamente alcuni aggiornamenti presenti nell'accordo parafato nel 2015, in particolare l'inclusione della clausola di reciprocità, la parità di trattamento e una definizione giuridica chiara dello statuto di frontaliere, elemento determinante per la certezza del diritto e la tutela dei lavoratori frontalieri. Rispetto all'accordo parafato nel dicembre 2015, c'è una novità così riassunta: "Tenuto conto dei significativi investimenti di interesse e impatto transfrontaliero ai quali deve far fronte l Cantone Ticino, in particolare a livello di spese di infrastruttura e trasporti, la quota di imposizione massima permessa alla Svizzera è del 70%, con possibile rivalutazione quando il sistema sarà a regime in applicazione al punto 1 fino a un massimo dell'80%".

Stando agli esponenti lombardi del Partito democratico Chiara Braga e Alessandro Alfieri il governatore Attilio Fontana si sarebbe "piegato completamente a tutte le richieste ticinesi" arrivando a chiedere al Governo italiano di "abrogare la convenzione del 1974, che regola oggi i rapporti tra i due paesi e la fiscalità dei frontalieri, per sostituirlo con un nuovo testo che peggiora l'accordo parafato dalle diplomazie nel 2015". Le Organizzazioni sindacali lamentano il fatto che la lettera è stata inviata senza nemmeno informare gli enti locali e le parti sociali. Per i sindacati le richieste di Fontana e Vitta sarebbero "le peggiori possibili per i lavoratori e le comunità di frontiera in quanto riducono le persone a vere e proprie arance da spremere".

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