Ticino7

Punta del Nuovo Weisstor

Da una parte le piste di Zermatt, dall’altra la tragica diga di Mattmark. In alto il Monte Rosa. E noi lì, in quel passaggio buono per alpinisti e spalloni.

17 novembre 2018
|

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Era la prima alba che vedevo dal Passo Jacchini. Se anche fosse stata l’ultima avrei potuto dire che quella bastava per tutte quelle che non avrei mai più visto. Me ne sarei ricordato, molti anni dopo, quando il Piergiorgio Novellini, con un bel passato di contrabbandiere anzaschino, mi raccontava degli anni delle bricolle, delle fatiche e dei rischi corsi. Non sapeva se l’avrebbe rifatto, mi ha detto, ma «certe albe, certi colori, certe atmosfere di quegli anni sono impagabili. Non li dimenticherò mai». E infatti li dipinse. Allora andava davanti il Maurino, e c’erano voluti due tentativi per trovare la via giusta di salita dal rifugio Sella, dove avevamo dormito. Il gestore di allora, che se non ricordo male era la guida Gianni Tagliaferri, doveva averci inquadrati al primo sguardo:
«E dov’è che vorreste andare ragazzi?» Allo Strahlhorn con rientro a Macugnaga via Allalingletscher. Disse che sarebbe stata un po’ lunga. E infatti allo Strahlhorn, in qualche maniera, c’eravamo arrivati, ma per rientrare a Macugnaga, dopo un esoso pernottamento alla Britanniahütte, scendemmo a Saas-Fee dove ci aspettava mia moglie, allora incinta come una mongolfiera di nostra figlia Marta, che sarebbe nata di lì a meno di due mesi.

Verso Zermatt, giù dal Rosa

Ma dicevo del Passo Jacchini, denominazione che oramai indica il valico tra le distese glaciali del Findelgletscher, sul versante settentrionale, e il bacino di Macugnaga a sud, ma che più propriamente appartiene alla paretina che si deve risalire, provenendo dal Sella, per raggiungere il Nuovo Weisstor a 3’639 metri (che si valica un po’ sopra la sua massima depressione, a dire il vero). Se la «Nuova porta bianca» fosse «anticamente transitata», come si legge qua e là, non so. Ma certamente la sua fortuna nacque con l’epoca alpinistica, in alternativa al Vecchio Weisstor (la serie di colli aperti sulla cresta distesa a ovest della Jazzi), battuto abitualmente dalle guide di Macugnaga, e non solo, che accompagnavano clienti nelle traversate verso Zermatt, o di ritorno dalle salite sulla Est del Rosa. Una «via di casa» ordinaria, sembra, a leggere certe storie. 

Julius Kugy, il celebre «cantore delle Alpi Giulie» che venne anche sulle occidentali a farsi sentire, ricordava nella propria autobiografia alpinistica della volta che avrebbe dovuto salire la Est con Luigi Bonetti, guida di Santa Caterina Valfurva, e il compagno di quell’estate, Julius Prochaska, ma era stato richiamato d’urgenza a Trieste per un lutto, quando si trovava già a Macugnaga. Andò che Bonetti e Prochaska fecero la salita e lo informarono con un telegramma, al quale Kugy, un po’ scornato, rispose telegrafando a Zermatt per pregare Bonetti «di ritornare a Macugnaga per il Weisstor». Ritrovatisi ai piedi della Est, i due la salirono, infine. Bonetti per la seconda volta in pochissimi giorni, ed era il 1886. Bonetti che tra l’altro era cugino di quel Pedranzini, guida anch’egli, morto cinque anni prima sulla stessa Est con Marinelli… Il mondo è piccolo e la Storia è breve. Anche Giuseppe Oberto, storica guida di Macugnaga, mi raccontava che spesso rientrava dal Passo Jacchini e non scendeva neppure a Macugnaga, ma passava dal rifugio Zamboni per trovare i clienti da accompagnare alla Capanna Resegotti e di lì fare la cresta Signal. Vittorio Marone, guida anche lui, ricordava invece che al Passo Jacchini era salito con un carico di venti chili di riso da contrabbandare fino alla Capanna Bétemps, la Monterosahütte di oggi. Un percorso ben conosciuto dai contrabbandieri di Macugnaga, che si spingevano fino al Gornergrat o alla Fluealp…

Di lettere e di numeri

Dopo quella volta, il Passo Jacchini lo ho soltanto ancora sfiorato, guardandolo dall’alto, dalla Punta del Nuovo Weisstor, la meridionale, salita per sbaglio a causa di un gran nebbione. In realtà volevamo salire la Jazzi dal Bivacco Luino, dove avevamo passato una stanca notte, io e l’Angelo. Al mattino, attraversato alla sua base il Corno Nero, avevamo continuato a salire, senza vedere né sapere bene se la via e la montagna erano quelle. Forse per un antico riflesso che ci fa andare verso l’alto quando si punta a una cima. Quella «vera», però, si era poi mostrata da uno squarcio aperto nelle nubi, quando noi credevamo di esserci già arrivati (con qualche dubbio, comunque, per la brevità della salita). Sotto di noi, un buon cento metri più in basso, il Nuovo Weisstor, del cui nome questa gobba di neve si fregia. Beh, ci siamo detti, in fin dei conti ne abbiamo aggiunta una. Oltre la sella, la Jazzi, sullo sfondo di un Nordend sfolgorante. Siamo discesi e poi su per lo spallone bianco della Jazzi, dove siamo arrivati con la camminata pacificata di chi da un errore ha tratto del buono. Era attorno a San Pietro, mi pare di ricordare. Non una traccia, non un’anima, a parte noi due e ammesso che abbiamo un’anima. 

Il mattino precedente, prima di salire al bivacco alternandoci a battere la pista in una neve surriscaldata, ero andato a Crealla, in Valle Cannobina, per suonare con la banda in una processione. Le ho sempre amate le processioni nei paesini in valle. Ho visto bestemmiatori seriali portare la madonna o il santo con la stessa devozione, almeno per quell’ora, che le loro madri mettevano nelle preghiere con cui cercavano di redimerli nel resto dell’anno. E a Crealla, è questo che volevo dire, sulla facciata della casa parrocchiale c’è affrescato un grande abbecedario, maiuscole, minuscole, e tutta la serie di numeri. Una scuola all’aperto per imparare a leggere, scrivere e fare di conto passando via con una gerla di fieno, o in spalla una cadola di legna, o in mano un mazzo di fiori per i morti al cimitero, o giocando a rincorrersi da bambini. Ecco, scrivendone, ho pensato che alba straordinaria dell’esistenza è l’apprendere e poi possedere la scrittura e la lettura. Il giorno che la segue non finisce più.

 

Nota della Redazione

I testi presentati in questa rubrica, a firma del giornalista de laRegione Erminio Ferrari, fanno parte degli itinerari proposti nella guida Ossola quota 3000, di cui sono autori lo stesso Ferrari e Alberto Paleari. Settantacinque racconti per altrettante cime, un volume di prossima pubblicazione per MonteRosa Edizioni di Gignese (Verbania). Il primo contributo, dedicato al Breithorn è apparso in Ticino7 n. 40 dello scorso 5 ottobre (per consultazioni vi rimandiamo a ticino7.ch, sezione «Archivio 2018»). 

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE