Economia

Le banche, solido alleato chiave dei democratici

Evitato per un soffio il default, ora si affilano le armi in vista del dibattito al Congresso. I Dem possono contare su istituti in ottima salute

Risultati superiori alle aspettative per molte grandi banche Usa
(Keystone)
24 ottobre 2021
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Nelle scorse settimane, si è stati a un passo da un vero incubo: il default Usa. Un rischio per fortuna scongiurato. I repubblicani hanno consentito di alzare temporaneamente il tetto del debito pubblico, almeno fino a dicembre. Visto il pericolo corso, la reazione della Casa Bianca è stata gelida, ma l’approvazione ha permesso al governo federale di prendere in prestito tutto il necessario per pagare le spese in scadenza. In caso contrario non avrebbe avuto a disposizione le risorse necessarie, con conseguenze gravi nell’immediato e anche nel lungo periodo. I repubblicani sono stati costretti ad approvare la misura perché hanno subito forti pressioni, sia dal mondo industriale che da quello creditizio.

Joe Biden, dopo aver incontrato i vertici delle grandi banche statunitensi, ha rimproverato il partito di opposizione di irresponsabilità, delineando scenari catastrofici. Su questo punto è stato sostenuto dagli amministratori delegati delle grandi banche Jp Morgan (Jamie Dimon), Citigroup (Jane Fraser) e Bank of America (Brian Moynihan) che hanno partecipato a un incontro con il presidente. La segretaria al Tesoro Janet Yellen (già governatrice della Federal Reserve, la banca centrale statunitense) aveva avvertito da settimane del pericolo. La prima conseguenza sarebbe stata la sospensione delle pensioni e dei buoni per l’istruzione per decine di milioni di famiglie. L’impatto peggiore e di lungo termine sarebbe stato però il declassamento del rating degli Stati Uniti.

I democratici in azione

Ma chi detiene questa montagna di debiti (le stime parlano di 28’500 miliardi di dollari)? Procedendo in ordine decrescente, al primo posto troviamo la Federal Reserve con oltre 2’250 miliardi, segue la Cina per circa 1’140 miliardi e il Giappone per oltre mille miliardi. A dicembre lo scontro politico sarà molto duro, specialmente se si sarà entrati in un periodo di stagflazione. I repubblicani si oppongono all’innalzamento del tetto del debito per protesta contro i nuovi piani di spesa pubblica ma il default rischiato riguardava spese già concordate e votate da loro stessi quando erano il partito di maggioranza. Al contrario i democratici vogliono che il tetto del debito sia innalzato con un voto bipartisan. L’opposizione vuole sottolineare che la responsabilità, l’onore e anche l’onere di un maggior indebitamento sono unicamente del partito che attualmente ha la maggioranza al Congresso e controlla anche l’esecutivo.

Per vincere, a livello di opinione pubblica, i democratici hanno bisogno del sostegno del sistema produttivo e del settore finanziario. E nei fatti è quello che sta avvenendo. Le migliori banche americane stanno facendo di tutto per sostenere l’economia, pur competendo l’una contro l’altra per accrescere la quota di mercato negli Stati Uniti e all’estero. Si trovano inoltre ad affrontare la concorrenza d’Oltreconfine e le compagnie assicurative, con una sfida continua sui mercati. Tuttavia, il mondo del credito è ancora il pilastro dell’economia americana e conserverà questo ruolo per il prossimo futuro. Alcuni esempi servono a far capire il loro peso. Jp Morgan Chase, la prima grande banca a stelle e strisce a diffondere i risultati, ha registrato una trimestrale migliore delle attese. L’istituto ha ottenuto un utile di 11,7 miliardi di dollari. I ricavi sono stati di 29,6 miliardi, dato che si confronta con i 29,3 miliardi di un anno fa. «Abbiamo rilasciato riserve per 2,1 miliardi, poiché le prospettive economiche continuano a migliorare e gli scenari sono migliorati di conseguenza», ha commentato il Ceo Dimon.

‘L’economia va, noi anche’

Anche Bank of America ha superato le aspettative. I ricavi sono aumentati del 12,3% a 22,8 miliardi, mentre gli analisti si aspettavano un fatturato di circa 21,8 miliardi. L’utile è stato pari a 7,7 miliardi contro i 4,9 miliardi precedenti. La banca ha rilasciato riserve per 1,1 miliardi. La divisione global wealth and investment management ha registrato entrate record per 5,3 miliardi, trainate da un aumento del 19% delle commissioni di gestione patrimoniale e dalla forte crescita di prestiti e depositi. Il margine d’interesse, una misura chiave di quanto guadagnano le banche dai crediti, è aumentato di quasi il 10 per cento. «Abbiamo riportato ottimi risultati poiché l’economia ha continuato a migliorare e le nostre attività hanno riguadagnato lo slancio di crescita organica dei clienti che abbiamo visto prima della pandemia», ha affermato l’amministratore Moynihan.

Citigroup, invece, ha comunicato utili netti in rialzo del 48% a 4,6 miliardi, rispetto ai 3,1 dello stesso periodo dell’anno scorso. Il fatturato è stato pari a 17,15 miliardi contro i passati 16,97 miliardi. Il bilancio del colosso è stato sostenuto dagli ottimi risultati delle divisioni di trading di reddito fisso e dell’azionario. Ha inciso positivamente anche l’uso delle riserve che erano state accantonate (1,1 miliardi) per far fronte a eventuali shock derivati dai crediti deteriorati provocati dalla crisi legata alla pandemia. La banca ha battuto le attese, in quanto gli analisti si aspettavano un profitto di 1,65 dollari per azione. L’utile netto è aumentato del 48% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, grazie a un minor costo del credito, parzialmente compensato da minori ricavi e maggiori spese. Le entrate dell’investment banking sono aumentate del 39% a 1,9 miliardi. «Nel complesso, sono abbastanza soddisfatto dei 4,6 miliardi di profitti, dato l’ambiente in cui operiamo – ha detto il Ceo Fraser –. Anche se abbiamo molto lavoro da fare, stiamo ottenendo risultati dagli investimenti che abbiamo fatto e vedendo la forza del nostro marchio».

La coppia dell’Authority

Come si vede le banche americane hanno registrato buoni risultati, ma non possono certo dormire sonni tranquilli. La concorrenza fintech è sempre più forte e senza un occhio normativo di riguardo le conseguenze potrebbero essere pesanti. Emblematica la frase di Bill Gates: «Le banche mondiali tradizionali non sono altro che dinosauri in via d’estinzione», ha detto in passato il fondatore di Microsoft. Le società fintech stanno infatti creando nuovi modi per gestire e utilizzare i soldi delle aziende e dei consumatori. E alcuni di loro sono già cresciuti fino a diventare «unicorni»: cioè startup con una valutazione superiore a un miliardo. Ma le banche sono le fondamenta degli Usa.

Gli Stati Uniti sono una specie di grande piattaforma commerciale che per far crescere l’economia deve agevolare il sistema creditizio. Che si tratti di istituti regionali o nazionali, al dettaglio o di investimento, o anche diversificati in tutti i segmenti, il credito è il modo più semplice per rimanere il numero uno, e potenzialmente, anche per mettere in crisi il resto del mondo. Partendo da questo concetto non è un caso che Biden abbia nominato all’Authority antitrust Lina Khan, nota per la sua ostilità all’oligopolio dei giganti della tecnologia. Questo incarico sarebbe stato interpretato come un segno della volontà della nuova amministrazione di contrastare Google, Facebook, Amazon e Apple rispetto a una serie di pratiche che la politica considera anticoncorrenziali.

Professore di diritto alla Columbia, Khan ha recentemente fatto parte di un team di ricercatori incaricato di produrre un rapporto per il sottocomitato antitrust della Camera dei rappresentanti. Il gruppo di lavoro ha realizzato un voluminoso dossier che accusa i Big tech di monopoli e abuso di posizione dominante. Khan, 32 anni, è stata anche consulente legale di Rohit Chopra, il commissario della Federal Trade Commission che è stato confermato a capo dell’Agenzia di difesa dei consumatori. Insomma, un’accoppiata che promette fuoco e fiamme per i colossi digitali.

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