Economia

Idrogeno 'verde', la chiave della decarbonizzazione

Paolo Dellachà, amministratore delegato di De Nora: 'L’onda arriverà, dobbiamo essere bravi ad anticipare i tempi'

L'energia del futuro (Keystone)

«L’onda arriverà, dobbiamo essere bravi ad anticipare i tempi, mettere le mani avanti, anche se la curva evolutiva è poco prevedibile. Lo stiamo già facendo: sull’idrogeno abbiamo un piano di sviluppo a dieci anni, con una pipeline di progetti che esiste già». Paolo Dellachà è amministratore delegato di De Nora, la multinazionale milanese da 500 milioni di ricavi che a breve spegnerà cento candeline: è stata fondata nel 1923 nel quartiere industriale dell’Ortica, dove ancora c’è il «cervello» che coordina 13 stabilimenti produttivi e 24 sedi operative nel mondo. Nata dall’idea di Oronzio De Nora, ingegnere industriale specializzato in elettrochimica, a cui si deve il brevetto dell’Amuchina, oggi De Nora, che ha soci e partner come Snam e ThyssenKrupp, gioca la Champions League tra i big globali in due settori strategici per la «net zero economy», l’economia decarbonizzata: le tecnologie per l’industria elettrochimica, che valgono il 58% circa del business, e per il trattamento delle acque, dalla filtrazione alla disinfezione, in ambito pubblico e industriale. Il 75% del giro d’affari viene da fuori l’area Emea.

Ma in particolare — ed è l’onda a cui accenna Dellachà quando gli si chiede dove punta il gruppo — De Nora è avamposto in Italia e nel mondo per quello che da molti è considerato la vera «star» della transizione ecologica: l’idrogeno, in particolare quello verde, cioè prodotto da fonti rinnovabili. «Giochiamo in casa: siamo presenti in questo business dagli anni Cinquanta, e abbiamo investito per sviluppare una nuova generazione di elettrodi che rendono la produzione di idrogeno green da elettrolisi dell’acqua economica rispetto ai processi industriali tradizionali (che partendo dal metano rilasciano CO2) quando nessuno nel mondo ancora se ne occupava», dice Dellachà.

I piani dei governi

Una leva di business cruciale, sia per gli investimenti in progetti già finanziati, sia per i piani di sviluppo di diversi Paesi e società, che ha attirato l’attenzione di quello che poi è diventato, dal gennaio scorso, un socio: Snam, entrata al 37% del capitale rilevando la quota acquisita tre anni prima dal fondo Blackstone (la maggioranza resta al nipote del fondatore e presidente Federico De Nora, l’1% è in mano alla prima linea di manager, ndr). Un’unione di forze che oggi porta i due gruppi in prima fila in vista dell’arrivo dei fondi del Pnrr. «Pensiamo di essere in pole position per accedere alle risorse — rimarca il ceo —, per noi sarebbe una prima volta: De Nora ha sempre fatto tutto con le sue gambe. Oggi però la spinta da parte dei governi è tale che non possiamo non farne parte. Nascerà un mercato aperto, con uno scambio di tecnologie in tutta Europa. Si è capito che bisogna evitare quello che invece è accaduto con il fotovoltaico, lasciato in mano alla Cina».

De Nora è già in grado di produrre su larga scala gli elettrolizzatori per generare l’idrogeno verde: attualmente la fabbrica tedesca ha già la capacità produttiva di un gigawatt, «ma stiamo evolvendo a due gigawatt grazie a investimenti e stiamo attrezzando le nostre fabbriche asiatiche per ulteriori due gigawatt in un paio di anni — spiega l’amministratore delegato —. Il trend sarà quello di aumentare costantemente la capacità, ma non basterà: l’onda dell’idrogeno è tale che abbiamo messo in piano la costruzione di nuove fabbriche, focalizzate sull’idrogeno e posizionate nei luoghi da cui arriverà più richiesta, dal Medio Oriente all’Australia, alle Americhe». E l’Italia? «Naturalmente in questo piano c’è anche la gigafactory italiana, che noi immaginiamo altamente specializzata su tutte le tecnologie al servizio dell’idrogeno: il progetto che abbiamo presentato alle autorità è a tutti gli effetti un centro di eccellenza globale».

De Nora possiede numerose tecnologie che mette al servizio dei suoi partner, primo fra tutti la joint venture TkUCE con ThyssenKrupp, specializzata in impianti di elettrolisi cloro-soda e di produzione idrogeno, di cui possiede il 34%. «Attraverso una moltitudine di parternship e accordi, possiamo dire che ovunque ci sia idrogeno verde da produrre con qualche forma tecnologica, noi ci siamo». Ad esempio, con ThyssenKrupp, l’azienda è candidata al futuristico progetto Neom, città a zero emissioni nel deserto dell’Arabia Saudita. «Siamo in una fase preparatoria — dice il Ceo —: se tutto andrà a buon fine anche noi saremo a bordo». L’accordo con il colosso della chimica e dell’acciaio, in un mercato per l’energia importante come quello tedesco, garantisce un posizionamento strategico nella filiera dell’idrogeno. Oggi TkUCE fattura 300 milioni di euro (fuori dal bilancio consolidato di De Nora) «ma si prevede che arriverà a tre miliardi, in dieci anni». Proprio grazie alla spinta verso la decarbonizzazione dell’economia. «Difficile prevedere come e in quanto tempo ci arriveremo, diversi settori avranno tempi differenti: ad esempio si prevedono tempi lunghi per l’impiego dell’idrogeno nella mobilità», nota ancora Dellachà.

La nuova fase

Tra i progetti sulla linea di partenza, è ufficiale quello con Cfi, gruppo Usa tra i maggiori produttori di ammoniaca, «più stabile e facile da trasportare dell’idrogeno: quella verde diventerà il combustibile del futuro. L’impianto da 20 megawatt di green hydrogen da cui si produrrà l’ammoniaca lo farà la nostra joint venture».

Con queste premesse, la multinazionale milanese prevede di chiudere il 2021 vicino a 600 milioni di ricavi, dopo l’exploit dei 500 milioni con Ebidta a 90 milioni (+21%) nel 2020. Il gruppo, all’ingresso di Snam, era stato valutato 1,2 miliardi: erano 900 milioni quando arrivò Blackstone, nel 2017. L’operazione venne definita dagli analisti di Citi «il maggiore investimento in equity di una corporate a livello globale nell’idrogeno». Nel primo semestre 2021 De Nora ha contribuito all’utile di Snam per sette milioni di euro sui 635 totali. Presentando la semestrale, il Ceo Alverà ha ribadito che De Nora «è strategica e ne supporteremo la successiva fase sviluppo». Aggiungendo che  «stiamo discutendo possibili opzioni per cristallizzare il nostro investimento».

Oltre a Snam, i «pretendenti» alla corte di De Nora erano per lo più altri fondi di private equity. «Snam li ha superati a destra: erano tanti e anche in fase avanzata di negoziazione — dice il Ceo  —. Con Snam siamo “animali” diversi, ma ci stiamo capendo molto bene, abbiamo costituito gruppi di lavoro con cui ci scambiamo visioni e dati di mercato. Mi aspetto che la partnership contribuisca alla forte crescita prevista. La visione di lungo termine di Snam è un grande vantaggio per noi: l’azienda sta sostenendo una fase evolutiva che richiede molti investimenti».

L’obiettivo di fatturato è quello del miliardo di euro «in un lasso di tempo relativamente breve — dice Dellachà —, certamente la Borsa può diventare un’opzione per raccogliere nuovi capitali, ma bisogna cogliere la finestra giusta, anche rispetto a un nostro percorso interno, ad esempio rispetto alla crescita organica». Il Ceo si riferisce alle ultime tre acquisizioni internazionali (Isia, Calgon Carbon UV e una partecipazione in Azul energy), due per la divisione water technologies e una negli elettrodi, il cui closing è arrivato nelle scorse settimane. «Sono fatte in casa, con risorse interne. Si tratta di attività complesse da gestire, vanno integrate. Noi non compriamo le aziende dai dossier pre-confezionati, coltiviamo il nostro target per anni: con Calgon il “corteggiamento” è iniziato nel 2018: perché sapevamo che ci sarebbe servita la loro tecnologia (ossidazione a raggi ultravioletti per il trattamento delle acque) e perché sono della taglia giusta. Siamo molto selettivi e strategici». In previsione, rivela Dellachà, c’è altro potenziale shopping entro l’anno.

Il focus sarà sempre sulle clean tech. «Idrogeno e poi economia circolare, cattura della CO2, trattamento delle acque, ad esempio nel campo dello Zero liquid discharge, per recuperare il massimo dalle acque industriali — conclude il Ceo —. L’innovazione è il mantra di questa azienda, fin dalle origini è stato un investimento continuo. Abbiamo quasi 1700 dipendenti, quattro centri di ricerca nel mondo, 350 brevetti depositati. Ottanta persone lavorano nel nostro centro di ricerca e sviluppo: la maggioranza sono donne».

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