Economia

Ngozi Okonjo-Iweala, la prima donna alla guida dell'Omc

L'ex ministro delle finanze della NIgeria dal 1° marzo di fronte alla sfida politica più grande della sua vita

Ngozi Okonjo-Iweala (Keystone)

Quando, nel dicembre 2012, un gruppo di uomini armati rapì sua madre, nello Stato nigeriano del Delta ricco di petrolio, Ngozi Okonjo-Iweala era ministro delle Finanze ad Abuja, la capitale del Paese. Kamene Okonjo, la mamma, fu rilasciata cinque giorni dopo, dietro il pagamento di un riscatto di alcune decine di migliaia di dollari ma dopo che la gang le aveva spiegato che la ragione dell’azione era legata all’attività ministeriale della figlia.

Già questo racconta qualcosa della director general che dal 1° marzo guida la Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio: in quei giorni, Ngozi Okonjo-Iweala era molto criticata perché – dicevano gli oppositori – prestava la sua reputazione a un governo che trafficava con i contrabbandieri di greggio; in realtà, la donna prendeva una serie di misure, non clamorose ma mirate, proprio per contrastare la criminalità del petrolio.

È un aspetto del suo modo di procedere che andrà tenuto in considerazione nei prossimi mesi e anni quando tenterà di dare nuova vita all’Organizzazione che ha sede a Ginevra, oggi quasi esanime a causa dei contrasti durissimi e del protezionismo che prevalgono nel sistema degli scambi globali. Piccoli passi ma occhi puntati sull’obiettivo.

Tutti i 159 Paesi membri della Wto si dicono oggi felici della sua nomina al posto occupato fino all’agosto scorso da Roberto Azevêdo.

Da Trump a Biden

Non è stato però un processo facile, la sua scelta: fino a che la Casa Bianca è stata occupata da Donald Trump, gli Stati Uniti si sono opposti, nonostante sul suo nome ci fosse l’accordo di praticamente tutti gli altri membri. Trump e il suo rappresentante commerciale Robert Lighthizer sostenevano che la sua preparazione di economista dello Sviluppo non fosse adatta per trattare questioni commerciali. In effetti, Okonjo-Iweala – 66 anni, quattro figli, cittadina nigeriana e americana – si è laureata negli Stati Uniti, in economia a Harvard e poi ha ottenuto un dottorato all’Mit in Economia dello Sviluppo, cioè in un ramo che si occupa della crescita dei Paesi a basso reddito.

I motivi dell’opposizione di Trump, poi trasformata in assenso e via libera da Joe Biden, erano soprattutto di altro genere e toccano proprio la sfida che la director general nigeriana ha di fronte. In questione è il futuro della Wto, Organizzazione nata nel 1995 come successore del Gatt, il General Agreement on Tariffs and Trade fondato nel dopoguerra  che ha spinto con successo alla liberalizzazione degli scambi tra Paesi a mercato libero per tutto il periodo della Guerra Fredda. L’amministrazione Trump ha sostenuto che la Wto di oggi non funziona più, in sostanza perché non è in grado di proteggere le altre Nazioni dalle pratiche commerciali scorrette della Cina. Parecchi Paesi concordano, la stessa Unione europea ritiene che l’Organizzazione vada riformata. Fino all’anno scorso, Washington riteneva che Okonjo-Iweala non fosse la persona giusta per cambiare e rivitalizzare un’istituzione in crisi profonda.

In realtà, l’esperienza della prima persona africana e prima donna alla guida della Wto è notevole, sia per la conoscenza delle questioni economiche sia per le sue doti politiche. Per 25 anni, in due diverse fasi, ha lavorato alla Banca Mondiale, dove è salita al posto di numero due durante la presidenza di Robert Zoellik, uno degli esperti americani di economia e di commercio più influenti. È stata ministro delle Finanze della Nigeria una prima volta, tra il 2003 e il 2006, più due mesi finali come ministro degli Esteri. È tornata alle Finanze nigeriane, con l’aggiunta del ruolo di ministro coordinatore dell’Economia, nel 2011 per rimanerci fino al 2013, periodo nel quale fu spesso minacciata di morte e durante il quale sua madre fu rapita. Inoltre, fa parte o ha fatto parte di una serie di organizzazioni internazionali – tra le quali l’alleanza sui vaccini Gavi e il panel che si occupa di finanziare la lotta alla pandemia a nome del G20 – e di consigli di amministrazione di multinazionali (Twitter, Standard Chartered Bank).

Non manca certo di un ventaglio ampio di competenze ed esperienze, dunque. Si tratta di vedere come saprà affrontare la rianimazione della Wto in un clima di protezionismo e di scontro anche commerciale tra Washington e Pechino. Non sarà un’impresa né facile né breve.

La missione

Da un lato, la Wto non è più il motore delle liberalizzazioni multilaterali, guidate cioè dal principio della Nazione più Favorita, secondo il quale le condizioni di scambio migliori che un Paese membro dell’Organizzazione applica a un altro devono essere estese a tutti i membri. La tendenza, da almeno un paio di decenni, è quella di cercare e realizzare accordi bilaterali, tra Paesi o tra alleanze regionali. Qualcosa che non solo frammenta il commercio ma crea esclusioni, diversi privilegi e diverse esclusioni, con la conseguenza di divisioni e di tensioni politiche.

Sul lato del secondo pilastro della Wto, quello di tribunale che giudica le controversie commerciali tra Paesi, la situazione è altrettanto bloccata, con il panel di appello senza più giudici perché Trump ne ha impedito la nomina di nuovi quando i vecchi sono scaduti. La ragione per la quale l’ha fatto è che la Wto non è in grado di punire i comportamenti commerciali di Pechino su questioni come gli aiuti di Stato alle sue imprese, la scarsa apertura del mercato interno, l’accaparramento di tecnologia, il non rispetto della proprietà intellettuale. Si tratta di accuse condivise da molti anche in Europa e probabilmente nell’Amministrazione Biden.

Okonjo-Iweala dovrà dunque sapersi muovere in questa situazione nella quale i maggiori Paesi tendono a usare il commercio per accordi privilegiati e per imporre le loro regole e nel quale, sullo sfondo, si delinea uno scontro con la Cina, entrata nella Wto nel 2001 e che da allora, date le sue dimensioni e la forza economico-commerciale, ha stravolto un sistema che era stato disegnato per membri in sostanza tutti favorevoli al libero mercato non diretto dallo Stato-Partito.

Non è detto che fare il ministro delle Finanze in Nigeria sia più facile che guidare la Wto. Anzi, muoversi tra Biden, Xi Jinping, Angela Merkel ed Emmanuel Macron, e tra decine di leader di Paesi per i quali il commercio è parte essenziale della loro economia e ora è anche un elemento fondamentale di confronto geopolitico, sarà una sfida enorme. La sfida politica della vita, per Ngozi Okonjo-Iweala.

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