Economia

Verso un'indennità di disoccupazione anche ai frontalieri

La misura proposta dall'Ue potrebbe costare diverse centinaia di milioni di franchi alla Confederazione

Anche i non residenti potrebbero dover timbrare nei prossimi anni (foto Ti-Press)
18 giugno 2018
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L’Unione europea si fonda su quattro libertà fondamentali: la circolazione dei capitali; delle merci; dei servizi e delle persone. Quest’ultima si intende per i lavoratori dipendenti; i liberi professionisti; i prestatori di servizi; gli studenti e i ricercatori. Queste libertà fondamentali sono i pilastri su cui si fonda il mercato unico europeo. Va da sé che per avere un unico grande mercato servano anche regole, se non uniche, almeno coordinate tra i diversi paesi membri dell’Unione europea. Ricordiamo che la Svizzera, pur non essendo parte integrante dell’Unione europea, ha deciso di partecipare a suo modo a questo grande mercato continentale, attraverso la sottoscrizione di oltre cento accordi bilaterali. Una decina di questi sono riconducibili al solo funzionamento del mercato unico e l’accordo più importante e che rende palese il legame con l’Ue è quello sulla libera circolazione delle persone.

Ma un mercato del lavoro unico presuppone anche regole sociali uniche o per lo meno ‘coordinate’ in sede comunitaria. A cadenza regolare il coordinamento dei sistemi sociali a livello di Unione europea viene aggiornato in sede di riunione interministeriale, ovvero tra i responsabili nazionali delle politiche sociali.

Giovedì di questa settimana, a Bruxelles si riuniranno i ministri europei per la sicurezza sociale e tra i punti all’ordine del giorno c’è un tema che teoricamente potrebbe costare “diverse centinaia di milioni di franchi” alle casse federali, per usare le parole di un portavoce della segreteria di Stato per l’economia (Seco) sentito dall’agenzia Keystone-Ats. 

Stiamo parlando della proposta della Commissione Ue di riconoscere ai lavoratori transfrontalieri il diritto ai sussidi di disoccupazione nel paese in cui lavorano e non in quello di residenza, come invece accade oggi. Attualmente, infatti, i lavoratori frontalieri che perdono il posto di lavoro in Svizzera (o in un paese Ue diverso da quello di residenza) devono chiedere le indennità di disoccupazione nel loro paese di residenza. I singoli istituti nazionali di sicurezza sociale, dove i frontalieri versano i contributi, a loro volta compensano i loro omologhi esteri per le prestazioni versate e al massimo per cinque mesi proprio per le norme di coordinamento in vigore. Secondo la Commissione europea, senza le norme di coordinamento dei sistemi sociali, la libera circolazione delle persone sarebbe difficilmente fattibile. “Queste regole – scrive la Commissione sul suo sito internet – garantiscono che nessun lavoratore che si trasferisce in un altro Stato Ue perda la sua protezione sociale”. 

Negli anni scorsi la Svizzera ha adottato volontariamente i regolamenti Ue attualmente applicabili e secondo la Seco, attualmente “è pienamente conforme alle regole di coordinamento dell’Ue”. Sarà così anche per il riconoscimento potenziale delle indennità di disoccupazione ai circa 300mila lavoratori frontalieri (oltre 65mila in Ticino) europei che lavorano in Svizzera?

Per la Seco – continua il dispaccio Keystone-Ats – non c’è obbligo da parte svizzera di riprendere automaticamente le norme Ue in questo campo. Il tema è però oggetto del famoso e controverso accordo istituzionale, in via di conclusione, tra la Svizzera e l’Unione europea.

Diritto al guadagno intermedio già esteso a chi risiede oltre confine

La Svizzera, anche se non rappresentata ufficialmente alla riunione interministeriale di giovedì prossimo in sede di Unione europea, può contare su alleati comunitari su questo tema. Alcuni paesi, tra cui Francia e Lussemburgo (ma anche Germania, Danimarca, Belgio e Austria), stanno facendo resistenza a questo cambio di paradigma per quanto riguarda le indennità di disoccupazione proprio perché le prestazioni contro la disoccupazione differiscono in modo sostanziale tra un paese e l’altro. La Francia, per esempio, ha molti lavoratori frontalieri in Germania, paese con una protezione sociale in questo campo inferiore a quella francese. Per questa ragione i sindacati francesi premono per lo status quo.

In realtà norme analoghe, dove vale il principio del paese in cui si è lavorato e versato i contributi sociali e previdenziali, sono già in vigore (Svizzera compresa, ndr) per quanto riguarda le rendite pensionistiche e le indennità di malattia e infortunio. Il cambio di paradigma anche nel campo della disoccupazione suscita però qualche perplessità in più soprattutto nell’opinione pubblica, come ha dimostrato il caso dell’estensione – ufficializzato dalla Seco la scorsa settimana – anche ai lavoratori frontalieri del diritto al cosiddetto ‘guadagno intermedio’.

Una novità anticipata nelle scorse settimane dalla cassa disoccupazione dell’Ocst, l’Organizzazione cristiano-sociale ticinese e che non ha mancato di far discutere. «Da subito i lavoratori frontalieri che subiranno una riduzione della percentuale di lavoro presso la stessa azienda avranno diritto a un’indennità (con il computo del guadagno intermedio) che andrà a colmare in parte il salario perduto», ci spiega Luca Camponovo, responsabile della cassa disoccupazione Ocst. «Non siamo in grado di calcolare quanto sarà l’impatto dal punto di vista finanziario. Questo ce lo dirà il tempo», continua Camponovo il quale precisa che l’eventualità di estendere le indennità di disoccupazione svizzere a tutti i frontalieri che perdono il posto di lavoro avrebbe un «costo molto elevato e sarebbe un cambio di paradigma totale».

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