Economia

L'altro volto della finanza

Ammontano a oltre 390 miliardi di franchi (+82%) i capitali allocati in settori economici che rispettano i criteri della sostenibilità

Non c’è solo il guadagno di breve periodo (Ti-Press)
9 giugno 2018
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Il concetto di sviluppo sostenibile si applica anche all’attività finanziaria. L’idea di fondo è di garantire la “capacità di futuro”, cioè l’uso razionale delle risorse in modo da non compromettere la capacità delle risorse stesse di continuare a produrre valore nel tempo. La finanza sostenibile, quindi, si pone l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo, cioè quando indirizza i capitali verso attività che non solo generino un plusvalore economico, ma in modo che siano al contempo utili alla società né superino le capacità di carico del sistema ambientale. Questo la rende diversa dalle operazioni meramente finanziarie. In termini generali, la finanza sostenibile rientra nell’alveo della finanza etica che è però una nozione più generica. In questo ambito rientrano anche scelte di investimento basate su motivazioni religiose e politiche, che non necessariamente possono essere razionalmente giudicabili “sostenibili” e nell’interesse
delle nuove generazioni.
Il mercato svizzero degli investimenti finanziari sostenibili è in crescita costante. Stando agli ultimi dati diffusi da Swiss
sustainable finance, l’associazione che promuove questo tipo di investimenti, a fine 2017 ammontavano a oltre 390 miliardi di franchi (+82% rispetto all’anno precedente). Oltre la metà (il 61%, pari a 238 miliardi di franchi) sono  direttamente riconducibili a casse pensioni e compagnie assicurative. Del fenomeno ne abbiamo parlato con Alberto Stival, vicedirettore del Centro di studi bancari di Vezia e rappresentante per il Ticino di Swiss sustainable finance.

I prodotti della finanza sostenibile non sono più appannaggio di pochi investitori che hanno a cuore, oltre al
rendimento economico, anche altri valori (ambiente e società). A cosa è dovuto questo successo?
Credo che sempre più operatori del settore, in particolare quelli istituzionali, stiano realizzando che investire in società che si preoccupano del proprio impatto ambientale e sociale, e che comprendono l’importanza di una governance societaria sana, alla fine ha un impatto positivo anche dal punto di vista prettamente finanziario, al di là dei risvolti che potremmo chiamare ‘etici’. Sul mediolungo termine il rapporto tra rischio e rendimento di portafogli sottoposti a degli screening di sostenibilità è di regola migliore rispetto a portafogli i cui manager ignorano completamente questi aspetti. Questo è un dato di fatto.

Anche molte casse pensioni e altri investitori istituzionali si orientano verso questa categorie di asset allocation. È solo moda o una maniera per darsi un vestito di rispettabilità?
È vero, una grande spinta agli investimenti sostenibili viene, anche in Svizzera come in altre parti del mondo, dagli investitori istituzionali, tra cui le casse pensioni. Non credo che sia una questione di moda, piuttosto penso che i gestori di questi fondi abbiamo capito il grande potenziale dato dagli investimenti sostenibili, per esempio in termini di migliore diversificazione dei portafogli e conseguente riduzione dei rischi. Va poi detto che questi investitori hanno spesso, per definizione, un orizzonte temporale lungo, che si sposa perfettamente con il concetto della finanza sostenibile.

Quali sono i criteri per definire un investimento finanziario sostenibile? Se non sbaglio anche i titoli di Volkswagen, prima dello scandalo ‘Dieselgate’, erano considerati tali.
Gli investimenti sostenibili si lasciano suddividere in diverse categorie e approcci. Con lo ‘screening negativo’, ad
esempio, andiamo a eliminare determinati settori economici ritenuti incompatibili con i propri valori in ambito ambientale e sociale. Con lo screening positivo andiamo invece a selezionare le aziende ‘best in class’, le più virtuose dal punto di vista del proprio approccio alla sostenibilità. C’è poi un comparto molto importante di prodotti, ad esempio fondi d’investimento, che possiamo definire tematici, per chi ad esempio vuole investire i propri risparmi in società specializzate nella produzione di energia pulita. Per quanto riguarda il ‘Dieselgate’ mi risulta che diverse società di rating sostenibile avessero in realtà segnalato il rischio che si stava accumulando in relazione ad alcune società automobilistiche, in particolare a causa di determinate pratiche di governance e i relativi controlli interni, ritenute poco compatibili con le migliori pratiche del settore.

Come si colloca la Svizzera in questo campo rispetto al resto del mondo e dell’Europa in particolare?
La Svizzera è sicuramente tra i primi posti nell’ambito della finanza sostenibile. Si stima che circa un terzo degli investimenti mondiali nel microcredito siano gestiti nel nostro Paese, ma anche altre piazze, come Londra, stanno cercando di profilarsi in maniera importante. Swiss sustainable finance è nata nel 2014 come associazione mantello di tutti gli operatori interessati a promuovere la finanza sostenibile e per aiutare la nostra piazza finanziaria a mantenere una posizione di leadership in questo mercato. La finanza sostenibile rappresenta una grande opportunità per rilanciare il nostro settore, anche in termini d’immagine. Se nei vecchi film di James Bond i soldi del cattivo si trovavano sempre in una banca svizzera mi piace pensare che in un prossimo film, dedicato magari a dei nuovi eroi che lottano per salvare la natura, i soldi dei buoni, che servono a realizzare questi progetti ambientali, vengano proprio dalla Svizzera. Nella realtà già oggi è proprio così, ma purtroppo l’immagine che si ha all’estero della Svizzera è ancora legata al nostro passato.

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