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Wanna Marchi non è pentita, d’accordo?

Su Netflix c’è ‘Wanna’, storia della regina delle televendite in quattro puntate (dedicata a quelli che ‘una volta era meglio’)

‘La signora Fosca non può che essere all’inferno’
(Keystone)
28 settembre 2022
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"Ho 79 anni, l’unica cosa che so fare è vendere. Datemi qualcosa da vendere". Il regista o chi per lui le consegna un astuccio con dentro una penna e Wanna Marchi prova a dare un saggio del proprio talento: "Cosa mi vendi? Una penna oppure una magia?...". Il risultato non è esattamente quello dei tempi migliori, ma l’inizio di ‘Wanna’, serie di Netflix diretta da Nicola Prosatore a lei dedicata (a lei e alla figlia e socia in affari Stefania) è quanto meno a effetto.

Ozzano dell’Emilia

Soprannominata ‘la regina delle televendite’, Wanna Marchi (Vanna all’anagrafe) imperversò sulle tv private italiane degli anni ’80 e ’90 forte di slogan diventati anche canzone (‘D’accordo?’). Nata estetista, divenuta milionaria per aver truccato i cadaveri alla camera mortuaria di Bologna (per l’aneddoto completo si rimanda al film), l’imprenditrice dalle origini contadine apre una profumeria a Ozzano dell’Emilia, paese natale, prima che il destino in forma di giovane venditore di spazi televisivi bussi alla sua porta: è così che nasce il fenomeno Wanna Marchi, prima nella classifica dei televenditori di Rete A, canale di riferimento del settore, davanti a Walter Carbone e alla buonanima di Guido Angeli ("Provare per credere"). La società ‘Wanna Marchi’ vende cosmetici, è a lei intestata e fallisce nel 1990 (1 anno e 11 mesi di reclusione per concorso in bancarotta fraudolenta), dopo che la titolare ha frequentato i migliori salotti televisivi, quello di Enzo Biagi incluso. Nonostante il tracollo, la regina delle televendite rinasce dalle ceneri come l’Araba fenice per vendere non più creme bensì numeri del lotto. Vincenti. La tecnica: io ti vendo i numeri vincenti ma prima tu mi devi sciogliere del sale nell’acqua; se il sale non si scioglie, allora hai il malocchio; se hai il malocchio, il maestro di vita brasiliano Do Nascimiento, sedicente sensitivo brasiliano, te lo toglie, ma la cosa costa quattro milioni di lire (ma c’è chi, afflitto da malocchio insistente, di milioni se ha sborsati 250). Fino a che nel 2001 non arriva Striscia la notizia, all’epoca impegnata in cose più interessanti che non rompere le scatole a Claudio Baglioni: la signora Fosca, pensionata-infiltrata, aiuta a smascherare la truffa e per mamma, figlia e maestro di vita si aprono le porte del carcere.

‘I truffati quasi più colpevoli dei truffatori’

Per arrivare a ‘Wanna’ sono serviti due anni di lavoro e nove mesi di montaggio, quest’ultimo a volte un tantino esasperante, unico limite dell’opera. Nei correlati del film in Rete, scendono nei dettagli l’autore Alessandro Garramone e il produttore Gabriele Immirzi: in assenza di biografie, autobiografie, libri, memoriali o altre ricostruzioni affidabili preesistenti, autori e giornalisti investigativi al seguito si sono dovuti calare su migliaia di pagine giudiziarie tra le procure di Bologna e Milano; oltre 150 le persone contattate tra testimoni e vittime della truffa, alcune delle quali compaiono nel prodotto finito con viso oscurato e voce contraffatta; relativamente facile reperire materiale il d’archivio tra Rai, Mediaset, di Telemontecarlo, SkyTg24 e pure la Rsi; la vera impresa è stato recuperare quello delle televendite, scovato tra i nostalgici degli anni ’80 e ’90, i quotidiani e periodici locali e gli intervistati stessi. I principali prodotti pubblicizzati e venduti da Wanna Marchi, inoltre, sono stati accuratamente ricostruiti dagli scenografi.

"Fra le prime riunioni avute col regista e autori – dice Garramone – la prima intenzione è stata quella di capire in che modo la vicenda sarebbe diventata non la semplice biografia di Wanna Marchi e di sua figlia". Da cui la necessità di ricorrere alle vittime, per ricostruire la storia dei raggirati. "Avevamo la responsabilità che tutti noi dovremmo avere quando raccontiamo storie di truffa. Perché quando si parla di truffa c’è il rischio di far percepire i truffati quasi più colpevoli dei truffatori". Che è quello che pensa la figlia Stefania: "Io non la vedo truffa (stimata in 63 miliardi delle vecchie lire, ndr) perché se uno mi chiama e mi fa mettere il sale in un bicchiere, io lo mando a fare in c****".

‘Se sei un poveraccio non è colpa di Wanna Marchi’

Nella migliore tradizione netflixiana, ‘Wanna’ è un salto alternato avanti e indietro nel tempo, dagli anni ’80 dello ‘Scioglipancia’ – unguento miracoloso destinato ai ventri flaccidi – al 2006 di ‘Un giorno in Pretura’, il processo alle Marchi portato in tv con la Wanna in lacrime a giurare di non avere mai nascosto nulla al suo amato pubblico. Davanti alla corte, diversamente dai giorni di gloria, la teleimbonitrice non si produce in alcuno dei suoi improvvisati e sgrammaticati proclami, ma legge un testo scritto.

Tornando a oggi. La regina delle televendite e figlia non appaiono su Netflix per redimersi o chiedere scusa. Le lacrime delle protagoniste sono solo per la nostalgia del tempo e dei miliardi che furono. Le intervistate non hanno pietà per i morti – Wanna è sicura che l’infiltrata, la signora Fosca, non può che essere "all’inferno" – e nemmeno per i vivi: "Se nella vita sei un poveraccio non è colpa di Wanna Marchi", più o meno il concetto di fondo che riassume un’intera carriera (dedicato a chi dovesse chiedersi dov’è andata a finire l’Italia, e per quelli che "una volta era meglio").

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