laR+ Il ricordo

Alain Tanner, con lui scompare il cinema

Classe 1929, punto di riferimento del cinema elvetico, era nato a Ginevra. Fu Pardo d’oro nel 1969 e Pardo d’onore nel 2010.

Agosto 2010, Pardo d’onore
11 settembre 2022
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Se n’è andato all’età di 93 anni Alain Tanner, forse il più grande regista svizzero. Di lui, nel 2004 sull’Enciclopedia Treccani, il critico Giuseppe Gariazzo scriveva con acume raro: "Tra i più significativi cineasti del suo Paese, ha elaborato un complesso percorso artistico nel quale si combinano le esperienze del Cinéma vérité, del Free Cinema inglese, dello straniamento e dell’analisi sociale, delle dinamiche sessuali, degli intrecci nelle relazioni culturali, nonché i temi della femminilità, dell’identità, dell’erranza".

Era nato a Ginevra il 6 dicembre 1929, e proprio lì nel 1951 fondò, insieme a Claude Goretta, suo coetaneo morto nel 2019, il Ciné-club universitaire. Poi lavorò per la marina mercantile svizzera, prima d’incontrare nuovamente Goretta a Londra, e insieme si immergono nel Free Cinema. Nel 1957, Tanner gira con l’amico il suo primo film, ‘Nice time’, sulla vita notturna a Piccadilly Circus, negli anni in cui Karel Reisz e Tony Richardson presentavano ‘Momma Don’t Allow’ e Lindsay Anderson ‘O Dreamland’, il cinema che sfidava le vecchie consuetudini, quello che il giovane Tanner respira. Il regista resta a Londra e si dedica a girare documentari per la Bbc, una gavetta che condivide con molti, compreso il primo Ken Loach. Ritornato in Svizzera, prosegue il suo lavoro come documentarista seguendo la lezione del Cinéma vérité, nata nel 1960 a Cannes con ‘Chronique d’un été’, diretto da Jean Rouch, e basta leggere cosa scrisse Edgar Morin sul Cinéma vérité per ritrovare Tanner: "Si tratta di fare un cinema verità che superi l’opposizione fra cinema romanzesco e cinema documentaristico, bisogna fare un cinema di autenticità totale, vero come un documentario ma col contenuto di un film romanzesco, cioè col contenuto della vita soggettiva". E qui arriva nel 1964 una delle opere più significative del regista, l’inchiesta ‘Les apprentis’, sui lavoratori apprendisti nelle fabbriche, presentato a Karlovy Vary.

Il Pardo d’oro

Nel 1966, Tanner presenta ‘Une ville à Chandigarh’, sulla costruzione di una nuova città in India nel 1951 a opera dell’architetto francese Le Corbusier. Intanto, da vita al Groupe 5 con Jean-Louis Roy, Claude Goretta, Michel Soutter e Jean-Jacques Lagrange (poi sostituito da Yves Yersin). Nel 1968 gira due documentari per la tv e l’anno dopo va a vincere il Pardo d’Oro al Festival di Locarno con il suo primo lungometraggio di finzione, ‘Charles mort ou vif’, sul dissolvimento di un vecchio mondo industriale e su una gioventù che cambia. Gira un altro documentario tv, ‘La vie comme ça’ (1970), e l’anno dopo è quello di ‘La salamandre’, un film sulla fragilità della verità e della narrazione che gli porta un premio minore al Forum della Berlinale. Torna a Berlino nel 1973 e al Forum riceve due premi con ‘Le retour d’Afrique’, un’ode alla libertà di parola e al potere delle parole, "quelle che si dicono agli altri, quelle che si dicono in silenzio". Nel 1974 esce con ‘Le milieu du monde’, in cui mostra il confronto tra un politico di destra sposato pronto alle elezioni e una immigrata italiana di cui si innamora. Due anni dopo, nel 1976, presenta il suo film più famoso: ‘Jonas qui aura 25 ans en l’an 2000’ riceve un premio per la sceneggiatura dalla National Society of Film Critics Awards, Usa, e viene premiato a Valladolid; il film analizza le vite di diversi uomini e donne trentenni che si confrontano con le magre conquiste delle rivoluzioni degli anni Sessanta. Max, un redattore insoddisfatto, Myriam, una rossa appassionata di sesso tantrico, e Marie, una cassiera del supermercato che fa sconti non autorizzati agli anziani, cercano un nuovo significato in una fattoria comune. Il protagonista, un bambino di sei anni, è il portatore delle loro speranze per il futuro. Nel 1979 torna a Berlino con ‘Messidor’, uno dei suoi film più interessanti, basato sulla ricerca di dare un senso alla vita da parte di due donne.

‘Les années lumière’ fino alla fine

Nel 1981 presenta ‘Les années lumière’, un film malinconico girato in Irlanda che vince il Grand Prize of the Jury a Cannes. Poi cerca ispirazione lontano dalla Svizzera, e in Portogallo gira ‘Dans la ville blanche’ (1983), storia quasi autobiografica di un marinaio svizzero a Lisbona, film premiato con il Cesar e a Fotogramas de Plata. Dieci anni dopo gira il suo ultimo lungometraggio, ‘Paul s’en va’, che uscirà nel 2004. Nel frattempo ha portato a Venezia ‘No man’s land’ (1985), altra meditazione sulla condizione umana; del 1987 è ‘Une flamme dans mon coeur’, che dice di un’attrice in viaggio tra Parigi e Il Cairo; nello stesso anno, porta a Venezia ‘La vallée fantôme’, sulle aspirazioni e i dubbi di un cineasta, interpretato da Jean-Louis Trintignant. A Venezia torna di nuovo nel 1989 con ‘La femme de Rose Hill’, ancora emigrazione e condizione femminile; vince a Montreal e altri due premi in Spagna con ‘L’homme qui a perdu son ombre’ con Francisco Rabal e Angela Molina, nel 1991; due anni dopo presenta ‘Le journal de Lady M.’ (1993) e poi, nel 1995, torna al documentario con ‘Les hommes du port’. L’anno dopo, un altro dramma femminile con ‘Fourbi’, ma ormai Tanner sente che il suo pubblico si è allontanato, il mondo del cinema è cambiato. Cerca allora ispirazione in Antonio Tabuchi per ‘Requiem’ (1998) e viene premiato a Chicago, riprende in mano un suo successo con ‘Jonas et Lila, à demain’, maltrattato dalla critica, gira ancora ‘Fleurs de sang’ (2002), co-diretto da Myriam Mézières con cui da tempo ha formato una coppia artistica solida. Infine ‘Paul s’en va’ e il sipario si abbassa. Ci saranno ancora interviste e omaggi, ma il tempo del cinema diventa solo ricordo.

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