Spettacoli

Il tempo che ci resta: a teatro con Falcone e Borsellino

In scena al Foce di Lugano lo spettacolo dell’argentino César Brie

Nel tempo che ci resta
(Laila Pozzo)

In scena venerdì sera sul palco del Teatro Foce di Lugano, uno dei maestri teatrali del secondo Novecento: César Brie, figura emblematica di quel teatro nato in Sudamerica e poi approdato in Europa a causa della dittatura argentina. Dalla Comuna Baires, compagnia di grande successo nata all’inizio degli anni Settanta nella capitale argentina, al quartiere Isola di Milano qualche anno dopo dove fonderà insieme a Danio Manfredini il Collettivo Tupac Amaru. Nel 1980 la Danimarca e la vicinanza al Teatro Odin ed Eugenio Barba, anche se la sua insegnante sarà sempre Iben Nagel Rasmussen (una delle prime attrici della compagnia). E dieci anni dopo il ritorno in Sudamerica con la realtà storica del Teatro de los Andes.

Una parabola che lo riporterà in Italia senza mai dimenticare l’Argentina, e che testimonia un percorso artistico coerente e necessario, a favore dell’umanità, in nome della bellezza. Nel suo teatro l’essere umano è sempre al centro, così come l’attualità. La sua urgenza è reale, ed è quella di raccontare l’uomo oggi e la storia recente. Anche se, intervistato a questo proposito, ha dichiarato che «io non faccio teatro politico, faccio teatro! A volte è politico, a volte è intimo. Ma nell’io c’è il noi».

In scena al Foce, in collaborazione con il Centro Artistico Mat, uno dei suoi ultimi spettacoli: ‘Nel tempo che ci resta’, creato qualche anno fa e poi fermato dalla pandemia. «Questo lavoro è un’elegia su Giovanni Falcone e Giuseppe Borsellino. La storia è nota, ma c’è molta documentazione che racconta ciò che è nascosto, che nessuno sa. Si svolge in un cantiere abbandonato, e i personaggi parlano di quello che è successo loro, anche quello che è avvenuto dopo, come se guardassero dall’alto. Abbiamo fatto entrare dalla finestra i misteri».

‘Nel tempo che ci resta’ è frutto di una ricerca durata più di due anni su Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Tommaso Buscetta, pentito di mafia, e prosegue un lungo lavoro di impegno civile e inchiesta, iniziato con ‘Il cielo degli altri’, ‘Viva l’Italia’, ‘Prima della bomba’, per citarne alcuni. César Brie cura drammaturgia e regia, e sarà in scena, in buona tradizione dei "teatristas" argentini.

«Dovevo fare solo il regista, e gli attori le due coppie. E invece… Ho iniziato nel lavoro a indagare su oggettualità e immagini, prima di scrivere il testo. Davo dei temi di lavoro nei seminari teatrali e non dicevo di chi parlavo. Dagli oggetti nascevano le immagini. Io ho cercato la metonimia in un cantiere abbandonato. Panca, lamiere, pavimento grigio, corde e poi alcuni altri oggetti, che sono apparsi dopo: le cravatte, il sangue. Una goccia che cade. Con questi elementi ho creato centinaia di immagini, e poi ho iniziato a scrivere il testo. Mi sono dovuto documentare e ho scoperto molto sulla mafia. Ho creato un testo adeguandolo all’immagine che avevo in mente. Ho dovuto scegliere molto, dare a volte solo alcune informazioni e togliere il superfluo. Ma ho voluto essere anche molto rigoroso: ho nominato tutti gli uomini e le istituzioni uccisi dalla mafia. Anche i carabinieri ammazzati nelle stragi, sono tutti sullo stesso piano».

Per raccontare le biografie, e non solo i nomi, Brie si serve anche delle immagini, delle fotografie. «Certo, ho dovuto trovare un accorgimento, non volevo mostrare la disfatta, i corpi dilaniati, mostro le foto di famiglia, quelle di prima. Non si tratta di un documentario, ma di un monumento, un inno».

Un lavoro utile e necessario, secondo il regista, perché oggi «i magistrati sono molto isolati, sono vituperati e la mafia non è scomparsa, è sommersa. Oggi sono i politici che vanno dai mafiosi e non il contrario. Un lavoro che ha ancora molto da dire, a tutti». L’augurio? «Che le mie figlie adolescenti escano e dicano cosa è successo? Voglio che i ragazzi possano interessarsi di nuovo alla storia del proprio paese».

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