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Il teatro digitale del Lac ha vinto un Ubu speciale

Carmelo Rifici e Paola Tripoli a proposito del premio attribuito ieri a Riccione al progetto Lingua madre

(Ti-Press)
14 dicembre 2021
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La seconda ondata della pandemia aveva nuovamente portato alla chiusura dei teatri quando il Lac di Lugano aveva annunciato ‘Lingua madre’, prima con un articolato manifesto artistico-filosofico e poi, nel marzo del 2021, con un ricco palinsesto di proposte online che, sperimentando vari linguaggi artistici, rifletteva su come il mondo stava cambiando.
Il progetto ideato da Carmelo Rifici, direttore artistico del Lac, e Paola Tripoli, direttrice del festival Fit, ha coinvolto numerosi artisti, dal comitato editoriale agli autori delle varie iniziative. Una “sinergia di competenze drammaturgiche e curatoriali” che troviamo citata nelle motivazioni del premio speciale Ubu che ieri sera è stato consegnato a Riccione.
Gli Ubu sono il più importante riconoscimento teatrale italiano e questo riconoscimento per Lingua madre – che si aggiunge a un premio Hystrio vinto nelle scorse settimane – non è solo motivo di soddisfazione professionale. «Lingua madre è iniziata come una scommessa e le scommesse possono essere vinte o perse» ci ha spiegato, al telefono, Paola Tripoli. «Il fatto di aver vinto sia un premio Hystrio sia un Ubu, i due principali riconoscimenti per il teatro italiano vuol dire che in qualche modo la scommessa è stata vinta».
Anche a Carmelo Rifici ricevere questo Ubu «fa molto piacere perché è un premio di squadra, che condivido con tanti amici e amiche: Lingua madre è nato dalla volontà di stringersi intorno non solo a un progetto ma anche intorno a una situazione storica molto difficile, molto complessa che lascerà strascichi enormi». Significativo, ha proseguito Rifici, che sia stato premiato «un lavoro nato in quel periodo e che soprattutto si struttura sul pensiero di quel periodo».
Periodo caratterizzato da un eventi impensabile prima dell’arrivo della pandemia: la chiusura dei teatri. I dati su contagi e ricoveri purtroppo ci ricordano che non è ancora tutto finito, ma seppure con continue restrizioni pubblico e artisti possono continuare a incontrarsi in uno spazio teatrale. Che cosa ha lasciato l’esperienza Lingua madre nata in un momento in cui questo incontro non era possibile? «Innanzitutto ci lascia un periodo di studio estremamente importante che si sta già riflettendo sul palcoscenico» ha risposto Rifici. «Mercoledì al Lac presentiamo ‘Metastasis’ di Gabriele Marangoni, nato come esperimento di Lingua madre e che adesso diventa una performance dal vivo che integra la sua origine ma che si muove verso altre possibilità. Quello che sta nascendo oggi non ci sarebbe senza quel tempo di studio e di applicazioni di stilemi differenti che abbiamo potuto apprendere con il lavoro collettivo di Lingua madre, un grande lavoro di conoscenza». Più in generale, l’esperienza Lingua madre «ci ha permesso di affrontare tutta una serie di temi, di tensioni, di cominciare una discussione con artisti, di muoverci grazie al digitale verso l’esterno… sono contatti, relazioni che adesso vanno avanti e non nascondo che posso immaginare, e sperare, un’attività di Lingua madre che continui parallelamente a quella teatrale». Lingua madre, ha concluso, «è stata una grande esperienza durata mesi in cui abbiamo messo le mani in talmente tanti territori che ci ha dato grandi ispirazioni».

Di incontri arricchenti ha parlato anche Paola Tripoli. «Lavorando ad alcuni progetti con l’associazione Rec, io e Carmelo, scherzando, ci siamo detti che non volevamo fare più teatro ma cinema… e i ragazzi di Rec, dall’altra parte, erano molto incuriositi su come si facesse teatro». Lavorare con maestranze lontane dal mondo del teatro è quindi un altro lascito di Lingua madre. «Ma la cosa più importante è stata avere un tempo in cui si è data importanza al fare arte e non al prodotto artistico, un tempo che non è quello del mercato per fare arte. Abbiamo trovato una strada diversa dalle altre, una strada che stiamo ancora percorrendo. E forse ci sarà un seguito: abbandonare completamente questa strada sarebbe stupido, ci sono ancora molte cose da scoprire…».

Il progetto Lingua madre è andato avanti anche con la riapertura dei teatri: come accennato alcune sperimentazioni hanno preso la forma di uno spettacolo, e durante l’ultima edizione del Fit c’è stata la possibilità di riscoprire alcune delle iniziative. Si andrà avanti, quindi? «Siamo sempre nel campo della sperimentazione» ha risposto Paola Tripoli. «Non ho la sfera di cristallo ma so che è un progetto che vogliamo continuare, ad esempio con le modalità che abbiamo già sperimentato, creare un salotto in cui c’è una proposta dal vivo, con la possibilità di una piccola condivisione di un progetto che prima era solo privato. O anche che alcuni dei progetti nati per il digitale trovino una forma in presenza».
Lingua madre, ha aggiunto Rifici, «è un lavoro di indagine e di progettualità, non tanto di percorso che arriva a delle cose, è un territorio di studio e di esplorazione: quelle cose possono arrivare in palcoscenico come a delle forme che non richiedono un palcoscenico ma che diventano delle indagini artistiche più che teatrali». In questo caso il nome Lingua madre resterebbe o bisognerebbe cercarne uno nuovo? «Ottima domanda. Il manifesto che abbiamo scritto tende a non sparire, ci dà delle indicazioni, delimita lo spazio in cui ci muoviamo ed esula da Lingua madre».

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