Spettacoli

Festival diritti umani, tornare in sala contro l’indifferenza

Presentato il programma dell’ottava edizione, a Lugano dal 13 al 17 ottobre. Tra gli ospiti, il regista ucraino Oleg Sentsov, ingiustamente incarcerato dal governo russo

Numbers di Oleg Sentsov
29 settembre 2021
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Tornano i diritti umani a Lugano: una frase per certi versi curiosa, ma che ben riassume la conferenza stampa di presentazione del programma dell’ottava edizione del Film festival diritti umani che si terrà dal 13 al 17 ottobre. Una giusta sintesi innanzitutto perché uno degli obiettivi di questa manifestazione, e della Fondazione che tra le altre attività sostiene questo festival, è quello di “portare in casa” il dibattito sui diritti umani, raccontando sì quel che accade in altri luoghi ma richiamando alla responsabilità e alla consapevolezza che il tema riguarda tutti noi (e qui accenniamo brevemente a una delle novità di quest’anno, il focus su Diritti e tecnologia). Poi è effettivamente un ritorno a Lugano, quello del festival: per quanto sia una delle poche manifestazioni che è riuscita a tenersi quasi normalmente anche nel 2020, aveva optato per una forma “itinerante” in vari centri del cantone, mentre l’edizione 2021 tornerà in quello che da alcuni anni è il suo cuore, il Cinema Corso a Lugano (ai quali si aggiungono il Cinema Iride e, altra novità su cui si tornerà, l’Università della Svizzera italiana). Durante la conferenza stampa il presidente Roberto Pomari ha precisato che non mancheranno, una volta concluso il festival vero e proprio, delle proiezioni in altre località ma la “casa” del Film festival diritti umani rimane il Cinema Corso. Una casa – apriamo qui un discorso che va oltre il festival e che riguarda gli enti pubblici, Città di Lugano in primis – che avrebbe urgentemente bisogno si interventi di manutenzione e a lungo termine di un progetto culturale che possa finalmente valorizzare questo importante edificio.

Quello del Film festival diritti umani è infine un ritorno perché abbiamo, dopo la pausa forzata dell’anno scorso, nuovamente un programma per le scuole con la proiezione di sei film per gli studenti. A causa delle disposizioni sanitarie, si è deciso di riservare queste proiezioni unicamente alle scuole: alcuni dei film saranno comunque riproposti, sia in sala sia in streaming sul sito www.festivaldirittiumani.stream, un’eredità del lockdown che arricchisce l’offerta del festival.

Veniamo finalmente al programma costruito, ha spiegato il direttore Antonio Prata, partendo da alcune forti figure di riferimenti. Di Alexander Nanau si è già detto nelle scorse settimane quando è stato annunciato che il regista rumeno al quale avrebbe ritirato il Premio diritti umani per l’autore: il suo film ‘Collective’ è al contempo una denuncia della corruzione in un ambito importante e sensibile come la sanità pubblica e una difesa del giornalismo indipendente. Ma c’è un’altra presenza importante al festival: il regista ucraino Oleg Sentsov, ingiustamente accusato di terrorismo dal governo russo e per questo incarcerato per cinque anni. Antonio Prata ha avuto occasione di incontrare Sentsov – «ma solo per pochi minuti» – alla Berlinale, poi durante la pandemia lo ha chiamato per chiedergli se gli andasse di partecipare al Film festival diritti umani Lugano, appena possibile. Il suo fermo interesse è stato di motivazione e per certi versi il suo ‘Numbers’ – realizzato durante la sua prigionia grazie alle poche persone che sono riuscite a mantenere un contatto – è un po’ la pietra angolare di questa edizione. Il film, riportiamo dalla sinossi nel comunicato stampa, ci porta in una società distopica dove dieci personaggi, identificati da dieci numeri, sono soggetti alle severe norme stabilite da una divinità onnipresente, il Grande Zero. La vita dei numeri cambia però improvvisamente quando due di loro decidono di avere, senza permesso, una relazione da cui nasce un figlio.

Volendo trovare un fil rouge che lega i 29 film che saranno proiettati – tra cui 7 prime svizzere, ma la pandemia ha interrotto o limitato la diffusione di molti film che meritano, anche se non più nuovi, spazio e attenzione – è quindi il rapporto tra individuo e potere. Qualche accenno (il programma completo è sul sito www.festivaldirittiumani.ch): il film d’apertura sarà il sudcoreano ‘Fighter’ di Jéro Yun, storia della rifugiata nordcoreana Jina e delle discriminazioni che si ritrova a subire; ‘Quo vadis, Aida?’ di Jasmila Zbanic racconta di un’interprete che lavora per l’Onu nella cittadina di Srebrenica; il il regista siriano Feras Fayyad (anche lui ospite annunciato del festival) con il suo ‘The Cave’ porta il pubblico a scoprire l’incredibile ospedale sotterraneo in cui il pediatra Amani Ballour tenta con pochi mezzi di aiutare più persone possibili; Brian Fogel ripercorre la storia dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi in ‘The Dissident’; ‘Santiago Rising’ di Nick MacWilliam percorre le strade della capitale cilena alla fine del 2019, quando esplodo le proteste contro le disuguaglianze economiche; Gianluca Monnier e Andrée Julikà Tavares in ‘Holy Highway’ raccontano delle ingiustizie derivanti dalla costruzione di un’autostrada in India.

In aggiunta a questo macrotema, il festival introduce un focus più specifico che quest’anno, come accennato, sarà incentrato sulla tecnologia: curato da Chiara Fanetti, presenterà quattro film tra cui il documentario ‘Coded Bias’ di Shalini Kantayya su pregiudizi e discriminazioni cntenuti negli algoritmi che sempre più regolano la nostra vita.

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