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Nanci Griffith, amazing grace

Dall'evergreen all'album del Grammy, all'addio: breve storia di una misurata stella, sospesa tra folk e il miglior country

Nanci Griffith, 1953-2021 (foto: Bryan Ledgard)
21 agosto 2021
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Una delle esperienze più frustranti per gli appassionati del genere Country è stato per molti anni andare da MediaMarkt, cercare le novità nell’apposito scaffale e trovarvi soltanto Dolly Parton e Johnny Cash. Accadeva anche nei negozi di dischi che non distinguevano tra country e folk. Dolly Parton e Johnny Cash in tutte le salse, ‘Collection’, ‘Platinum Collection, ‘Greatest Hits’, ‘The Best Of’. A volte si trovavano anche Kenny Rogers e John Denver. Oggi il problema è risolto: da Mediamarkt i cd non ci sono più e i negozi di dischi hanno chiuso. Restano gli stores digitali, dove Nanci Griffith, forse perché oggi quel particolare songwriting va sotto una più generale macrocategoria chiamata ‘Americana’ (è al femminile, ma vale anche per gli uomini), è ancora catalogata come ‘pop’ (a volte), ‘country’ (altre volte), o ‘cantautori’ (raramente, ma è ciò che è), categoria quest’ultima nella quale, per la moderna e bizzarra sete di classificazione, convivono James Taylor e Jennifer Love Hewitt, la Melinda Gordon della serie ‘Ghost Whisperer’, colei che accompagnava le anime inquiete nel transito verso l’aldilà (che comunque ha una bella voce).

Eddie e Rita

Scriviamo però di Nanci Griffith, graziosa stella per nulla vistosa del folk americano, spentasi lo scorso 13 agosto a Nashville all’età di 68 anni lontana da ogni clamore, dando ordine al proprio management di annunciare la sua dipartita la settimana successiva. Cresciuta a Austin Texas, a farsi le ossa dodicenne nei club locali, invaghita di Odetta e più tardi di Loretta Lynn, poi fattivamente a fianco di Lucinda Williams e Lyle Lovett, la sua carriera scorre nelle retrovie di etichette minori sino a una di quelle canzoni che cambiano la vita. La vita di altri.

‘Love at the Five and Dime’ è una piccola gemma contenuta sull’album ‘The Last of the True Believers’, con le armonie di Lyle Lovett, il banjo di Béla Fleck e il violino di Mark O’ Connor. Come ‘Anna e Marco’ nell’omonimo affresco di provincia di Lucio Dalla, ma più come Brenda ed Eddie, i sognatori di ‘Songs from an Italian Restaurant’ di Billy Joel, con il medesimo escamotage del viaggio indietro nel tempo per poi tornare al presente, anche in ‘Love at the Five and Dime’ c’è un Eddie, aspirante chitarrista professionista e valente ballerino che lavora in un negozio ‘five and dime’, una filiale della catena di supermarket Woolworths (così dice la copertina). La storia vuole che Eddie ami la 16enne Rita e che la porti con sé nei bar dove suona, fino a tardi; la madre di Rita osteggia il rapporto, i due si sposano, superano la perdita di un figlio fino a che tutto va a gambe all’aria per quella cosa che nelle band c’è sempre qualcuno che fa il filo alla tua ragazza (‘Rosie’, Jackson Browne, in quel caso è un batterista), e la coppia scoppia: Eddie fugge con la moglie del membro della band, ma in un presunto lieto fine i due si perdonano. Il salto nel tempo conclusivo, nella disillusione tipica dei sogni di provincia finiti male, ci porta all’oggi della canzone, con Eddie che ha l’artrite e non può più suonare una sola nota e adesso vende assicurazioni, e Rita che fa la casalinga e arrotonda part-time in un negozio, guarda caso, five and dime.

Altre voci, altre stanze

Negli anni della sua massima esposizione, qualcuno chiese a Nancy Griffith come si fosse sentita quando, nello stesso anno, la collega Kathy Mattea fece il botto con ‘Love at the Five and Dime’, da lei scritta; Griffith rispose, ironicamente, che si sentiva felice del fatto che la collega l’avrebbe potuta cantare per tutta la vita, e che lei non sarebbe stata obbligata a fare altrettanto. Per la legge che uno scricciolo non può sfondare le classifiche pop, la stessa cosa sarebbe accaduta nel 1987 con ‘From a distance’, ballad acustica che avrebbe dovuto fare da traino al passaggio di Griffith al colosso discografico MCA, divenuta tre anni più tardi un classico nella versione di Bette Midler, piena di piani elettrici, effetti speciali e un video con tutti i sacri crismi di Mtv.

Essere l’artista di un’etichetta convinta che la tua voce dia fastidio non dev’essere il massimo. E nei primi anni 90 in cui il country strizza l’occhio al pop, Nanci Griffith firma per la Elektra Records e pubblica nel 1993, con titolo dall’omonimo romanzo di Truman Capote, ‘Other Voices Other Rooms’, sentito tributo solo moderatamente pop a tutte le sue fonti ispiratrici, qua e là duettanti, come Emmylou Harris, Arlo Guthrie figlio di Woody, John Prine. Ai cori, nella conclusiva ‘Wimoweh’ (tradizionale sudafricano ‘rubacchiato’ dagli americani e diventato ‘The Lion Sleeps Tonight), c’è l’amata Odetta. Nel disco, Griffith canta Gordon Lightfoot, Townes Van Zandt, Woody Guthrie (‘Do Re Mi’), lo stesso Prine (‘Speed Of The Sound Of Loneliness’) e Dylan (‘Boots Of Spanish Leather’). Ne esce un misurato capolavoro acustico che vince un Grammy nel 1994 come Best contemporary folk album. Il seguito – ‘Other Voices, Too (A Trip Back to Bountiful)’ – avrà meno successo.

Tra blocchi della scrittrice e seri guai fisici, con la scrittura transitata dall’autodefinito ‘folkabilly’ fin dalle parti dell’impegno politico (‘The Loving Kind’, 2009, e in piazza per Occupy Wall Street), l’ultimo atto discografico di Griffith è ‘Intersections’, anno 2012, 20esimo e conclusivo atto liberatorio: “Ho messo in musica tutto quello che mi provocava dolore. È uscito tutto di getto. Forse doveva andare così”.

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