Spettacoli

Cannes e l’essere donna in questo mondo

Applausi per l’intenso ‘Lingui’ di Mahamat-Saleh Haroun. In concorso anche il film di Joachim Trier, mentre Un Certain Regard proopne ‘After Yang’ di Kogonada

Lingui di Mahamat-Saleh Haroun
10 luglio 2021
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Applausi lunghissimi, quasi fosse una prima alla Scala dopo uno spettacolo di successo, per il regista e le protagoniste di ‘Lingui’ (I sacri legami) del pluripremiato, anche qui a Cannes nel 2010, Mahamat-Saleh Haroun, una delle figure più eminenti di un cinema transnazionale attento però a un legame originale, non solo cinematografico, con un continente, quello africano, che cerca di maturare anche come identità propositiva. In questo ‘Lingui’ il regista ciadiano, da quarant'anni attivo anche come critico cinematografico in Francia, ci porta nella periferia di N’djamena, la popolosa e attiva capitale del Ciad, per farci conoscere Amina, una ragazza madre che per crescere decentemente sua figlia Maria, già quindicenne, si presta ai lavori più umili e derelitti come staccare i fili di metallo dai copertoni del camion per rivenderli per strada.

Amina scopre che la figlia è stata cacciata dalla scuola perché incinta, e non la consola sapere che la sua Maria è una delle tante cui è capitato, e non le interessa capire il perché – cosa che il regista mostra nella coppia esatta di un modello consumistico occidentale che tutti hanno messo come fondamento del proprio vivere: divertirsi. Il punto che Amina deve affrontare è che Maria vuole abortire e il Ciad è un Paese dove l’aborto non è condannato solo dalla religione, ma anche dalla legge. Anche lei vittima della stessa società, espulsa dalla famiglia in quanto ragazza madre, guardata dagli uomini perbene con disprezzo, Amina ora si trova ad affrontare una battaglia che sembra persa in anticipo, ma che deve combattere perché la figlia non abbia il suo destino. In ospedale non possono praticare l’aborto, ma lo stesso medico per una montagna di soldi accetta di farlo in una clinica privata; Amina prova un’altra strada incontrando una donna che pratica aborti, ma l’ambiente senza igiene la mette in guardia. Si mette a lavorare sodo ma non accumula soldi, decide di cedere alle avances di un vecchio vicino denaroso che da tempo la corteggia chiedendogli di sposarlo, in una delle scene più dure del film la vediamo offrirsi al vecchio, che sdegnato la rifiuta.

Quando tutto sembra perduto riceve la visita di una sorella: Amina la vuole cacciare perché parte di quella famiglia che l'aveva abbandonata, ma la sorella ha un grave problema, il marito vuole l'infibulazione della loro bambina. Si aiuteranno a vicenda grazie a una vecchia infermiera che aiuterà Maria ad abortire e ingannerà il padre della bambina con una mutilazione solo certificata. Finalmente Maria ritorna a scuola, il mondo delle donne che si aiutano ha vinto.

Raccontato con estrema e didattica semplicità il film non diventa mai un melodramma neppure quando Amina scopre chi è il violentatore della figlia. Il dramma messo in scena racconta di futuri possibili solo cancellando il peso di una inciviltà maschile profondamente e mafiosamente radicata nella religione e nella società civile. Le due protagoniste, Achouackh Abakar Souleymane come Amina e Rihane Khalil Alio come Maria, hanno pianto di felicità di fronte agli applausi e le telecamere sono state le testimoni proiettando le immagini delle due donne sul grande schermo. Il cinema è il più grande spettacolo del mondo, quando vuole

Una donna ancora è la protagonista di ‘Verdens Verste Menneske’ (La peggior persona del mondo) del norvegese Joachim Trier che con questo film torna in concorso qui a Cannes. Protagonista è Julie (una brava Renate Reinsve) che compie trent'anni e fa i conti con la sua vita che è un disastro esistenziale, a partire dalle indecisioni universitarie, sfociate prima in una passione per la fotografia e poi con un lavoro come commessa in una libreria. Lo stesso si può dire della sua vita affettiva, almeno fino all'incontro con un disegnatore di fumetti molto provocanti e capaci di smuovere il placido mondo culturale norvegese. Lui, Aksel (l’attore, musicista e medico ospedaliero Anders Danielsen Lie) sembra riuscire a dare a Julie una sicurezza esistenziale che l’accontenta prima di annoiarla. A una festa si infatua infatti del giovane e affascinante Eivind (un interessante Herbert Nordrum), subito i due, già impegnati, come onestamente si dichiarano, si annusano e si piacciono, dandosi un possibile arrivederci. Questo basta a Julie per rompere con l’artista, un salto nel vuoto per lei che torna dalla mamma. Ma il caso vuole che Eivind incroci la sua strada e – entrambi liberi, lui ha lasciato la sua bella perché incapace di seguirla nel suo cammino di ambientalismo talebano – è amora. Succede che lei si trovi incinta, che il vecchio amore, il fumettista, si ammali di inguaribile cancro, e che la vita non le sembri più la stessa. Lascia Eivind, va a vivere da sola, perde il bambino, Aksel muore, lei ritorna a fare la fotografa, finalmente con serietà ha sepolto la bambina è diventata donna. Applausi per il film, il regista e interpreti tutte e tutti. È il ritratto di nuove generazioni che si aprono al mondo provando a non essere uguali a genitori che puzzano di passato.

Sorprende a Un Certain Regard ‘After Yang’ di Kogonada. Il regista vuole essere anonimo, il soprannome è preso da Kogo Noda, sceneggiatore abituale dei film di Yasujirō Ozu. In un’intervista a Filmmaker Magazine ha dichiarato che “mi piace l'idea di Chris Marker sul fatto che il tuo lavoro sia il tuo lavoro. Inoltre, non mi sono mai identificato molto con il mio nome americano, che sembra sempre un po’ strano da vedere o sentire… e mi piacciono molto gli eteronimi”. Di lui si sa che uno dei più importanti critici mondiali: scrive per Sight & Sound magazine ed è spesso incaricato dal distributore di home video The Criterion Collection di creare video supplementari per le loro uscite. Kogonada è noto non solo per il suo film d'esordio ‘Columbus’, ma anche per i suoi video saggi, brevi video che analizzano il contenuto, la forma e la struttura di film e serie televisive in genere attraverso la narrazione e il montaggio mettendo in luce una particolare estetica utilizzata dai registi cinematografici. Questo è importante per capire la bellezza di un linguaggio cinematografico colmo di citazioni rese originali in una forma complessiva che ben si adatta a situazioni e ambientazioni. Siamo in futuro possibile, dove Jake (un intenso Colin Farrell)  si trova a gestire una situazione che forse diventerà normale: riparare  l'amato compagno della sua giovane figlia, un androide di nome Yang, che non funziona più correttamente. A Jake che cerca un modo per ripararlo succede quello che a tutti gli umani capita quando hanno un vecchio elettrodomestico da riparare e non si trovano più i pezzi. La bimba però desidera il ritorno dell’androide. Nel processo, Jake scopre la vita che è passata davanti a lui, riallacciandosi con sua moglie (la brava attrice d’origine giamaicana Jodie Turner-Smith). Addentrandosi nella ricerca di un riparatore, Jake si trova in una realtà che malamente riesce a controllare, e se anche sua moglie fosse un essere artificiale ben più moderna del povero Yang? Film di atmosfere tra sogni e incubi. Applausi meritati. E ora la solita ora di coda per entrare in una sala. Questo è Cannes

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