Spettacoli

Il Leone d’oro durante la pandemia a ‘Nomadland’

La Giuria di Venezia si è espressa. E dire che tutto era previsto è persino banale, spiega il nostro inviato Ugo Brusaporco

Cate Blanchett, presidente della Giuria (Keystone)
13 settembre 2020
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La Giuria di Venezia 77, presieduta da Cate Blanchett e composta da Matt Dillon, Veronika Franz, Joanna Hogg, Nicola Lagioia, Christian Petzold e Ludivine Sagnier, dopo aver visionato i 18 film in competizione ha deciso di premiarne 8 e dire che tutto era previsto è persino banale.

Il Leone d’oro per il miglior film è andato a ‘Nomadland’ di Chloé Zhao (Usa), un omaggio all’arte di attrice di Frances McDormand, protagonista del film, ma soprattutto è una precisa scelta che omaggia un femminile che politicamente non disturba. Non perché il film di Chloé Zhao non sia meritevole di encomio, ma più che prendere una posizione su un dramma sociale come il nomadismo dovuto alla crisi economica, il film prende la via di celebrare una nuova frontiera trasformando il dramma di tanti nell’eroismo di pochi. E la sua frontiera ha i paesaggi classici del western. Da Fort Apache a Amazon, forse il tema meritava di più, ma è più facile premiare un film dal passo malinconicamente felpato come questo, piuttosto di un film che costringe a prendere posizione e a far pensare come ‘Und morgen die ganze Welt’ (E domani un altro mondo) di Julia von Heinz, l’unico film che ha guardato ai giovani di oggi in un concorso pieno di vecchio dire.

Se la Giuria non avesse scelto il metro della pari opportunità, la scelta per il Leone d’oro sarebbe stata una lotta tra ‘Nuevo Orden’ di Michel Franco (Messico, Francia) e ‘Spy No Tsuma’ (Moglie di una spia) di Kiyoshi Kurosawa. Invece al primo è andato il Leone d’argento - Gran Premio della Giuria mentre Kurosawa aspetta in Giappone il suo Leone d’argento - Premio per la migliore regia. Ecco, il fatto che molti autori e personaggi non abbiano potuto accompagnare il loro film è stato uno dei punti più deboli di questa Mostra che, al di là delle dichiarazioni di routine, ha pagato a caro prezzo questa edizione blindata, proprio per l’assordante silenzio attorno ai film,  a parte quelli italiani e ai pochi americani. Si è evidenziato un pericoloso provincialismo ed è esploso forte il problema di una totale mancanza generale di cultura cinematografica, che per un Festival dovrebbe essere la base di conoscenza per chi vi partecipa. In realtà Venezia fino ad oggi e ancora, nonostante il Covid, ha e offre una visione da tappeti rossi del suo essere Festival del Cinema.

Il Premio speciale della Giuria è andato al russo ‘Dorogie Tovarischi!’ (Cari Compagni!) che Andrei Konchalovsky ha dedicato al massacro di Novočerkassk, uno dei momenti più bui della dittatura krusceviana, un film sull’ideologia, sulla Storia, sul problema delle fosse comuni che ha segnato il XX secolo, peccato che l’attenzione del regista si fermi alla superficie di questi tem. Molto più meritato è il Premio per la migliore sceneggiatura a Chaitanya Tamhane per ‘The Disciple’ (India). È stato questo un film importante per una meditazione sul senso dell’arte cinematografica, non dimentichiamo che questo festival un tempo non si vergognava di dirsi di “Arte cinematografica”; con Kiyoshi Kurosawa il regista indiano è il solo del concorso a non avere un narrativo dire televisivo e a mantenere sempre una struttura cinematografica dell’espressione.

La Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile va a Vanessa Kirby, protagonista nel film di Kornél Mundruczó ‘Pieces of a woman’, una bella coproduzione tra Canada e Ungheria. Vanessa Kirby era protagonista anche di un altro film, il deludente ‘The World To Come’ di Mona Fastvold, in cui anche la sua recitazione non brillava, ma qui è veramente molto intensa e brava. Finalmente al Paese ospitante, l’Italia, che aveva quattro film in concorso, è stata dato un premio: la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. L’ha guadagnata Pierfrancesco Favino per il suo lavoro nel film ‘Padrenostro’ di Claudio Noce. Il peggior film in concorso, e il signor Favino con la sua fissità attoriale, incapacità espressiva, ha ben contribuito alla sua pochezza. Di certo Orkhan Iskandarli grande interprete del film di Hilal Baydarov ‘Səpələnmiş Ölümlər Arasinda’ (Tra una morte e l’altra) avrebbe meglio onorato il premio. Il Premio Marcello Mastroianni a Rouhollah Zamani grande protagonista del film iraniano ‘Khorshid’ (Sun Children) di Majid Majidi ha il merito di non far dimenticare un film che parla della gioventù tradita, del dramma di essere migranti non accettati, del nostro tempo qualche volta miserabile.

La sezione Orizzonti ha avuto come Miglior Film l’ iraniano ‘Dashte Khamoush’ (The Wasteland) di Ahmad Bahrami. Di tratta di un film che celebra il lavoro, il regista aveva detto che “il film è un omaggio a mio padre e a tutti coloro che, in ogni parte del mondo, lavorano duramente. Quei lavoratori senza i quali la civiltà degli uomini non avrebbe raggiunto l’attuale livello di progresso”. Scontato il premio per la regia a Lav Diaz per il suo ‘Lahi, Hayop’ (Genus Pan). Il regista filippino ha firmato un altro capolavoro e i temi sono quelli del lavoro e della società che tradisce i lavoratori. E a completare la scelta sociale della Giuria di Orizzonti è il Premio Speciale della Giuria a ‘Listen’ di Ana Rocha de Sousa (Regno Unito, Portogallo), che ha vinto anche il Premio Venezia Opera Prima che le frutta anche 100mila dollari. Non è difficile dire che è il miglior film del festival, un festival che lei ha emozionato.

Ed ora messa agli archivi questa edizione, la Mostra aspetta di vedere come sarà la prossima sperando che la pandemia sia finita.

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