Spettacoli

'Laetitia Casta ha letto la sceneggiatura ed è nato qualcosa'

Intervista alla regista losannese Delphine Lehericey sulla coproduzione svizzero-belga 'Le milieu de l'horizon' presentato a Muralto

Una scena del film
13 febbraio 2020
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Tutto si secca, sotto il torrido sole dell’estate del 1976. I campi, in quella che è una delle peggiori siccità del secolo; l’infanzia di Gus, con i primi segni di un’adolescenza che ridefinisce tutto; i ruoli familiari, con la voglia di libertà e indipendenza che porta Nicole a lasciare il marito Jean e i figli.
Tutto cambia, in quella calda estate del 1976 che diventa specchio dei mutamenti – sociali e climatici – di oggi; a non cambiare, nel film 'Le milieu de l’horizon' di Delphine Lehericey, è paradossalmente il cinema: quello della regista losannese è un lavoro estremamente curato ma al contempo molto tradizionale. Forse un paradosso, pensando alla storia di rottura, ma il film scorre bene e conta su un buon cast, con Laetitia Casta nel ruolo della madre Nicole e il giovane Luc Bruchez nel ruolo di Gus.

La coproduzione svizzero-belga, in corsa per quattro premi del cinema svizzero (miglior film, miglior sceneggiatura, miglior attore protagonista per Luc Bruchez, miglior musica), dopo un’anteprima a Muralto per FestivalLibro – alla presenza di Roland Buti, autore dell’omonimo romanzo da cui è tratto il film – arriva adesso nelle sale ticinesi.

Delphine Lehericey, che cosa l’ha attratta nella storia di Nicole e Gus?

Quando, due anni prima di realizzare il film, ho letto la bozza di sceneggiatura che Joanne Giger aveva tratto dal film, sono stata colpita dai temi ma soprattutto dallo sguardo del bambino su sua madre, su quello che lei stava affrontando. Un aspetto che nella prima versione della sceneggiatura non era ancora così sviluppato e sul quale ho voluto lavorare perché credo sia la cosa davvero originale della storia: il resto è se vogliamo banale – e non lo dico come un giudizio negativo, semplicemente è una storia molto comune. Ma l’idea di raccontarla attraverso gli occhi di un bambino che guarda gli adulti che lo circondano mi è subito piaciuta.


A proposito dei temi del film: l’attualità è indubbia, ma avete deciso di mantenere l’ambientazione degli anni Settanta.

Fare un film “storico” comporta certamente dei limiti e ci siamo chiesti se provare ad ambientarlo ai giorni nostri. Ma non sarebbe stato possibile: è vero che il clima e l’emancipazione delle donne sono temi attuali, ma non avrebbe avuto lo stesso senso. Sono affascinata dall’atmosfera dei film di Louis Malle, o ancora da ‘Messaggero d’amore’ di Joseph Losey: avevo questa voglia di andare in un’epoca per raccontarne un’altra. E avevo voglia di raccontare la storia di un ragazzino che pare, appunto, nato in un’epoca che non è la sua.


Con tutti i problemi per procurarsi costumi e oggetti di scena del periodo. Non deve essere stato semplice, a livello di produzione.

È stato certamente un progetto ambizioso, per due Paesi piccoli come Svizzera e Belgio. Il produttore è lo stesso del mio film precedente, ‘Puppylove’, ed è come una famiglia: ci conosciamo, ci capiamo. Ma effettivamente i mezzi erano pochi e per realizzare il film siamo dovuti andare all’estero, in Macedonia, con i limiti del caso, ad esempio a livello di infrastrutture. Per realizzare questo film tutti – attori, l’équipe tecnica, la produzione – abbiamo dovuto aiutarci l’un l’altro, lavorare uniti.

Nicole, la madre di Gus, è interpre­tata da Laetitia Casta. Come è stata coinvolta?

Fin dall’inizio volevo un nome importante per la madre, qualcuno di famoso con cui il pubblico adulto potesse identificarsi – evitando quindi di condannarla. Qualcuno di conosciuto e amato dal pubblico, con un’immagine positiva.

Quando, alla radio, ho sentito Laetitia Casta che parlava di bambini – all’epoca era ambasciatrice dell’Unicef – mi sono detta che sarebbe stato perfetto averla. Le ho scritto tramite il suo agente, ha letto la sceneggiatura, ci siamo incontrate ed è nato qualcosa. Ha anche trasformato un po’ il personaggio, ha ampliato il ruolo della madre nel film, per rendere questa figura più forte che nel romanzo. Nel libro la relazione tra madre e figlio è un po’ fredda, mentre noi abbiamo voluto un legame più profondo.

Ampliato il ruolo della madre: ma c’è qualcosa che è stato ridotto o che si è pensato di ridurre? Lo chiedo perché nel film si toccano molti temi.

Il segreto del regista è scegliere, ma è vero che in questo film c’è molto: il fatto è che secondo me è difficile togliere un tema perché sono tutti intrecciati nella storia. Avremmo potuto non parlare delle difficoltà finanziarie della fattoria, quando danno l’idea dell’incertezza cui è confrontata la famiglia? La storia d’amore della madre, da cui inizia tutto? La siccità, che dà quel senso di apocalisse alla fine dell’infanzia di Gus? Ma devo dire che è stato molto complicato, soprattutto in fase di montaggio, per dare un senso a tutto.

C’è qualche scena alla quale è particolarmente legata? (attenzione: spoiler, ndr.)

Ho insistito molto per il finale, per questa riconciliazione conclusiva tra la madre e il figlio. È l’opposto di quello che ha scritto Roland Buti, ma non volevo, nel 2019, finire un film nel quale la madre non ha trasmesso nulla della sua liberazione al figlio. Sarebbe stata una condanna, per gli uomini e le donne, alla fatalità del patriarcato e del mondo: volevo un po’ di speranza, credere che l’amore possa produrre qualcosa di positivo. Mi piacciono i finali aperti, per cui non sappiamo come crescerà Gus, ma volevo dare l’idea che qualcosa gli fosse arrivato, dell’esperienza della madre.


Distanziandosi, quindi, dal finale del romanzo.

A non essere d’accordo era la sceneggiatrice: ne è nata una discussione molto interessante, ma adesso è d’accordo con questo finale. E Roland Buti, al quale il film è piaciuto molto, ha detto che la cosa importante è che venga mantenuta l’emozione del libro, non la storia.


Ultima domanda: progetti futuri?

Siamo al lavoro per una serie tratta da un fumetto. Anche questa storica: inizia nel 1973 e si conclude ai giorni nostri. È un progetto sulle utopie, su quello che rimane, a settant’anni, dei nostri sogni di ventenni, attraverso l’amicizia di tre giovani. Un altro progetto ambizioso, per il quale abbiamo il sostegno della Rts.

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