L'intervista

Ride bene chi ride Ornano (anche a Locarno)

I Python, le calze elastiche, gli anni '70, Crostatina e Maria. A colloquio col comico che ama 'fragilità, difetti, storture. Perché io sono così'.

Antonio Ornano in 'Non c'è mai pace tra gli ulivi', sabato 25 gennaio al Teatro di Locarno
23 gennaio 2020
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Buongiorno Antonio, da cosa cominciamo? Dalla morte di Terry Jones, da Sanremo, dall'addio di Luigi Di Maio? «Mah, da quello che ti pare. Lascerei Di Maio per ultimo, perché fosse stato l’addio di Salvini mi avrebbe fatto più piacere». Premettendo che in ‘Non c'è mai pace tra gli ulivi’, spettacolo da più sold-out italiani in arrivo al Teatro di Locarno sabato 25 gennaio alle 20.45 (www.biglietteria.ch), Antonio Ornano non dà «alcun consiglio di voto», e messo da parte Sanremo che a un ligure basta una settimana l’anno, con il comico genovese parliamo di lavoro – la comicità – partendo dal recentemente defunto fondatore dei Monty Python, «artista straordinario, come tutti loro d’altra parte». Straordinario anche solo per essere «il regista di quel capolavoro che è ‘Brian di Nazareth’, prodotto, se ben ricordo, da George Harrison perché nessuno voleva dare dei soldi a sei pazzi scatenati». Ricorda bene Ornano. Harrison, Pink Floyd ed Elton John, e qualche altra rockstar. «Questo per dire che tempi favolosi erano e che personaggi, fuori da ogni logica. E poi, tutti laureati a Oxford e Cambridge, quando si dice che la comicità non è una cosa seria...». 

Quando si poteva osare

Python per Python, presi anche da soli, Ornano cita ‘La leggenda del re pescatore’, diretto dal visionario Gilliam, l’altro Terry, «onirico, bellissimo, irripetibile anche perché forse erano tempi di sperimentazione, tempi in cui si poteva osare e che forse non torneranno più. Oggi, chi riesce a fare un piccolo passo avanti ha già fatto tanto per il tempo in cui viviamo. In tutti i settori, non solo nel campo della comicità. Che poi quella dei Monty Python non è comicità, ma performance». In nome dell’osare, vedendo nei soli Elio e le Storie Tese tratti pitoneschi, l’Ornano nostalgico si aggrappa «alla musica degli anni 70, alle sperimentazioni visive di quel tempo, al teatro di ricerca, a certe scuole attoriali, a gente come Al Pacino, Hoffmann, De Niro, registi come Scorsese, Malick. Dovessi tornare indietro con la macchina del tempo, imposterei quel periodo».

Per la spietatezza della sua ironia, in verità, qualcosa di pitoniano c’è pure in Ornano. «Dici? La morte è forse l'unica cosa che unirà me ai Monty Python, io sono solo un brufolo sul loro sedere (ride, ndr)». Insistendo un po’: «Diciamo che anche a me piacciono le fragilità, le contraddizioni, difetti, storture, perché io sono così, e cerco i miei simili per non sentirmi solo. E quando trovo persone storte, fragili e contemporaneamente con picchi di genialità e sentimento, mi piace scherzarci sopra. Con amore, e con affetto». 

Esploso come ansioso ornitologo, divenuto col tempo Antonio Ornano tout court, i suoi stressatissimi crescendo che sfociano in ira, la satira sulle assurdità umane, la lucidità di chi sa che ‘La mia sfiga può farti ridere’ – dall'omonimo suo workshop – ne fanno una sorta di termometro dei tempi moderni, prerogativa del comico di spessore. «Ragiono come un osservatore, rido sulle cose che osservo e che mi capitano. Ne parlavo giorni fa con l’amico comico Andrea Di Marco. Più vai in giro, più frequenti luoghi diversi, più hai esperienze diverse e più la tua comicità si arricchisce. Se la tua vita è circoscritta a un determinato ambito, rischi di essere ripetitivo o autoreferenziale. Più sei immerso nella realtà, più riesci a raccontarla in maniera empatica, intercettando storture, vezzi, e mettendoli anche alla berlina. Luca, Checco (Zalone, ndr) ha questa capacità straordinaria».

Monetizzare

Ornano torna a Locarno con la continuazione della tournée iniziata lo scorso anno, che non esclude di contaminare con ‘L’Ornano Furioso’, il nuovo spettacolo che debutta a Genova in marzo e che sta rifinendo. «In base a come andrà la serata, magari un pezzo dello spettacolo nuovo lo butto dentro. Non tutto, perché spero un giorno di portarlo anche da voi». ‘Non c'è mai pace tra gli ulivi’ è una sorta di temporanea summa dell’Ornano stand up comedian, che su facebook, in un video dal letto d’ospedale dov’è ricoverata, prova a monetizzare la frattura di tibia e perone della moglie, Crostatina: “Dobbiamo mercificare, capitalizzare, dobbiamo sfruttare questa cosa a livello social, questo video sarà pioggia di visualizzazioni. Dai, saluta tutti i tuoi fan...”.

La vicenda ha strascichi di coppia non ancora conclusi: «Sto monetizzando, ma la sto anche pagando caramente. Ora mi trovo fuori da un negozio di ortopedia a cercare una calza elastica non color carne, ma di un altro colore. Ho delle indicazioni precisissime che se sbaglio sono finito. E poi devo badare alla sopravvivenza dei miei figli. La cosa bella è che a 47 anni ho imparato una lezione sull’autonomia che un uomo normale avrebbe imparato a vent’anni. Se sopravvivo, ne esco arricchito».

'Fiore'

Sebbene il suo pubblico sia molto legato ai temi della ritinteggiatura del salotto, alla partenza per le vacanze e ai “Mai più, mai più...” dell’uomo medio trascinato ai mercatini di Natale, da quelle dinamiche ci coppia Ornano apre a molto altro, non ultima l’intolleranza. Perché Crostatina non è l’unica donna della sua vita. C’è anche Maria, la figlia, parte dello spettacolo che Locarno vedrà. «Il suo nome è Derartu, che in lingua etiope significa ‘Fiore’. Le abbiamo aggiunto Maria, come dei sadici, perché Derartu Ornano non era abbastanza scioglilingua. Mettici anche la 'R' moscia, quando qualcuno la incontra per strada e sente 'Mariaderartuornano' gli sembra di sentire Amanda Lear. Maria ci odierà per il resto dei suoi giorni». È Maria che occupa quella parte di spettacolo in cui si parla d'integrazione; Maria che sul profilo Instagram del babbo è ritratta in abiti chiari in una splendida foto di padre e figlia in controluce. La didascalia: “Quando il nero valorizza il bianco”. 

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