Spettacoli

Peppe Vessicchio, lectio sanremensis

Si definisce 'baudiano' e non si vergogna di aver suonato ai matrimoni: 'Secondo voi Mozart non avrà fatto lo stesso?'. Il maestro nei giorni scorsi alla Rsi

Dirige il maestro... (Studio Daulte/Rsi)
20 gennaio 2020
|

«È una delle feste comandate: c’è Natale, c’è Capodanno, l’Epifania, c’è Sanremo e poi c’è Pasqua». La barba rende il maestro Peppe Vessicchio assai Peppe Verdi, ma la simpatia figlia della pacatezza e delle buone maniere è sempre innata. Agli strumentisti e ai solisti della FeSMut, la Federazione delle Scuole di musica ticinesi, è affidata la colonna sonora di ‘70 volte Sanremo’, la festa organizzata mercoledì scorso dalla Rsi in onore del Festival della canzone italiana, con ospite d’eccezione.

Intervallato da una canzone per decennio suonata live sul palco dello Studio 2 di Besso da una superband di non professionisti ma con l’impegno dei professionisti – apre, è ovvio, ‘Nel blu dipinto di blu’, per la voce di Michela Lepori – a parlare di Sanremo è un Vessicchio dai ricordi in bianco e nero, che partendo proprio da ‘Volare’ (perché è così che la si chiama ormai) scalda i motori parlando di come le canzoni sono divenute «prodotto», del valore dell’interprete rispetto a quello della canzone («Uno come Adriano Celentano»), di come Sanremo rappresenti «lo stato di fatto del mercato della musica, e non lo stato della musica» perché «esistono straordinari artisti che non passeranno mai da quel palco pur avendo le qualità culturali e intellettuali per farlo».

Leggerezza

Vessicchio si definisce «baudiano», estimatore del Pippo «che si preoccupava di offrire un panorama, osando, sostenendo ci dovesse essere una casellina per ogni situazione. Elio e le Storie Tese, per esempio, non appartenevano al mondo ufficiale del pop. Nemmeno i Pitura Freska, o i Quintorigo. Baudo li volle perché rappresentavano orizzonti più lontani». Transita ‘Piazza Grande’ a celebrare gli anni 70, com’era transitata ‘Ciao amore, ciao’ a celebrare i 60, e Gianluca Verga chiede al maestro degli esordi nella Napoli del tempo, della sua formazione classica e degli odierni solisti del Sesto Armonico, ensemble da lui fondato e diretto, definito “un libero movimento musicale”. Gli chiede chi gliel’abbia fatto fare – o, più fedelmente: «Come mai dalla classica alla ‘Leggera’?» – e la lezione comincia.

Punto primo: «Penso che la musica sia una soltanto e che quella leggera, in particolare, sia bella proprio perché leggera. Italo Calvino tenne lezioni in America improntate sulla leggerezza, che non è soltanto nella musica». Punto secondo: «’Leggera’ non significa demagogica, dunque stucchevole e improduttiva». Punto terzo: «Anche in ambiti di classica esiste musica cialtrona. In entrambi i casi, classica e leggera, valgono l’impegno e l’onestà intellettuale con cui si fanno le cose».

Stimoli

Transitano gli anni 80 di ‘Vita spericolata’ e la sorte di chi arriva penultimo e poi farà la storia. «Sì, all’inizio ho suonato ai matrimoni. Senza volermici paragonare, anche Mozart ne avrà fatti di matrimoni, perché tutti fanno musica con la speranza di viverci. Non me ne vergogno e credo che farebbe bene un po’ a tutti». E ancora: «Coi solisti del Sesto Armonico suoniamo spesso nei centri anziani. La prima cosa che verrebbe da fare sarebbe andare loro incontro scegliendo il repertorio della loro epoca, un modo piacione per avvicinarsi alla meta. Io sento invece di non doverli trattare come anziani, ma come persone che hanno vissuto e che vanno stimolate. Solitamente, per i primi 20-25 minuti scelgo un repertorio che non hanno mai sentito. Quando ci salutiamo, alla fine, scopro che lo stupore è per la parte di concerto che non conoscevano. Ecco lo stimolo».

Appello ai governanti

Si parla di nuovi suoni: «Le tecnologie permettono a tantissimi di potersi esprimere, ma attenzione perché nel rap e nella trap l’onda del copia-incolla è già arrivata. L’artista deve sempre porsi dei limiti, e crescere». Transitano i Duemila, transitano Elisa e ‘Luce’, e si parla di orchestra. «È come sentirsi in famiglia», meglio ancora «se quello che è scritto su carta viene eseguito come nelle intenzioni di chi l’ha scritto».

Dalle orchestre, al ruolo di selezionatore per lo Zecchino d’Oro: «Ricordo che me lo proposero con la paura che potessi rifiutare in malomodo, e invece il gatto nero, il torero Camomillo, i 44 gatti hanno fatto parte della mia storia. Ho sentito l’urgenza dell’impegno in favore dei ragazzi, per i quali il mondo della musica è ancora un’opportunità». E anche chi, pur con tutti i sacrifici, non ne farà mai un mestiere, «si conquisterà un linguaggio e una passione che non lo abbandoneranno mai». Da cui, appello ai governanti: «Sono un sostenitore della musica in tutte le scuole». La musica, quella cosa che “fa crescere i pomodori”, titolo del suo libro, con dentro il Vessicchio-pensiero per esteso.

Selfone

Una volta riuscito a dirci che l’infanzia è in pericolo, ma col beneficio della speranza; che la regola è non mollare, anche quando si è autori – «‘Almeno tu nell’universo’ di Lauzi e Fabrizio rimase chiusa in un cassetto per sette anni, e Mia Martini nemmeno era convinta»; che tra i suoi preferiti c’è il portatore di serenità Ron, «uno che non ha mai permesso all’artista di invadere l’uomo»; una volta riuscito a non ferirci parlando di talent – «Tra l’averli e il non averli, meglio averli» (e qui forse molto fa la barba); una volta detto tutto questo, Giuseppe Vessicchio detto Peppe, depositario della frase “Dirige il Maestro Tizio, canta Caio”, impugna il tablet di Isabelle e si fa un bel selfone con la platea. E noi gli diciamo che gli siamo grati, perché ci siamo proprio ‘arricreati’ (per giggino.com, il traduttore napoletano: “Siamo stati davvero bene”).

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE