Spettacoli

Oggi è il 'Glory Day': buon compleanno Boss

Bluesmen accecati dalla luce, songwriter devoti e rocker in pellegrinaggio nel giorno dei 70 anni di Springsteen (e Besso diventa Asbury Park per una notte)

‘Il finale? Sempre lo stesso: il pubblico in delirio’ (Keystone)
23 settembre 2019
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Otto settembre 1988, Stadio Comunale di Torino; la pioggia ha sciolto in terra i volantini che parlano di diritti umani e i sessantamila con i piedi nella carta che sta diventando cartapesta hanno già ascoltato quello che un giorno sarà il ministro della Cultura e del Turismo del Senegal Youssou N’Dour, hanno assistito alla lapidazione di Claudio Baglioni a colpi di arance (reo di essersi infilato in una cosa non sua che per il popolo sarebbe spettata a Vasco, già santone senza nemmeno una ‘Gli spari sopra’); il ‘Comunale’ ha già acceso gli accendini su ‘Biko’ di Peter Gabriel, ha già ascoltato Tracy Chapman cantare di rivoluzione e Sting di desaparecidos con la colta coda bossanova di ‘They dance alone’; ma è solo quando Bruce Springsteen inizia a maltrattare le corde della sua chitarra su ‘Born in the U.S.A.’ che lo stadio diventa stadio e l’happening diventa concerto rock. Perché se dici ‘c’ero anche io quella volta a Torino, al concerto di Amnesty’, la prima cosa che ti rispondono è “allora hai visto Springsteen”.

Il Boss, che trentuno anni dopo, per il bene di tutti, ancora tira il collo alle corde (anche vocali), compie oggi settant’anni. Ancor prima del nostalgico ultimo ‘Western Stars’ (dell’album d’inediti è già pronto il documentario), il simbolo della classe operaia che non ha mai fatto l’operaio (“Non ho mai visto l’interno di una fabbrica, ma scrivo solo di quella”, ma d’altra parte nemmeno Billy Joel è stato mai in Vietnam per scrivere ‘Goodnight Saigon’, la magia è propria degli artisti), il ragazzino del New Jersey di origini più che modeste diventato “assurdamente famoso scrivendo qualcosa di cui non ha assolutamente alcuna esperienza personale”, quasi tutti i suoi primi settant’anni li aveva raccontati in prima persona, anche a colpi di splendida e qui virgolettata autoironia, nel prezioso ‘Springsteen On Broadway’, versione teatrale di un’autobiografia intitolata ‘Born to run’ uscita due anni prima. ‘Born to run’, “nato per tornare, più che per fuggire” dice dal palco del Walter Kerr Theatre di New York, lui fuggito dal New Jersey in cerca di un posto migliore per poi tornare a vivere a pochi minuti dalla casa natale.

Quando Bruce sostituì Mick Jagger

La storia umana è dentro uno spettacolo allestito a un’età in cui altri coltivano sogni di residenza artistica a Las Vegas, e invece Springsteen sceglie la location più piccola in cui abbia mai suonato per portarvi un mese di teatro-canzone, divenuto poi un anno di repliche (“Non ho mai lavorato cinque giorni a settimana. Fino ad ora”). Un piccolo estratto degli auguri al Boss nel giorno del suo 70° compleanno è in questa pagina nelle parole di chi, tra il Ticino e l’Italia, si è redento, ha tolto i paraocchi, è tornato bambino (vedi a lato), ha pregato la reliquia (vedi sotto) e visto nelle metriche di ‘Dancing in the dark’ la luce di ‘Blinded by the light’, teen-movie che prova a spiegare – senza troppe pretese, ma onestamente – un mito terreno mai così terreno, i cui voli pindarici di brufoloso teenager accecato dalla luce di Elvis furono gli stessi di noi comuni mortali – lui con una scopa, ma vale l’alternativa battipanni – davanti allo specchio di casa a sognare di essere qualcuno, anche in forma onirica: “La sera mi addormentavo con la testa piena di sogni di gloria. Eccone uno: gli Stones hanno un concerto alla Convention Hall di Asbury Park, ma Mick Jagger è malato. Hanno bisogno di un rimpiazzo, ma chi può sostituire Mick? All’improvviso, un eroico giovane si alza in mezzo al pubblico. Ha carisma, voce, look, presenza scenica e niente acne... ed è un chitarrista pazzesco. La band ingrana all’istante, Keith sorride, e da quel momento gli Stones non sono più così impazienti di rimettere in piedi Mick... Il finale? Sempre lo stesso: il pubblico in delirio”.


Arco di Roobin Hood, martello di Thor (© Andrea Bignasca)

Fotografando l’Esquire

di Andrea Bignasca

Il mio cuore ha effettivamente saltato un battito quando l’ho vista in fondo ad un’affollata stanza della mostra “Play it Loud” del Met. L’ho riconosciuta immediatamente da più di dieci metri di distanza, senza averla ancora vista intera, come schegge brillanti tra cappotti e spalle di estranei. Non l’ho raggiunta subito, ho vagato prima per la stanza piena dei più grandi tesori del rock senza davvero vederli, come una specie di Via Crucis al vero affare finale. Poi mi sono avvicinato, aspettando di essere l’unico lì per almeno un momento. Con un peso sul petto, un groppo in gola, e dolorosamente consapevole di quanto dovevo sembrare ridicolo, ho alzato il mio sguardo sfocato, sorseggiando ogni suo centimetro quadrato: una spugna, strizzata da un maestro. Un maestro che a sua volta l’ha impregnata di litri di sudore, lacrime e sangue, per darci, darmi, canzoni che ancora oggi sembrano l’abbraccio di mio padre. L’arco di Robin Hood, Excalibur di Re Artù, il martello di Thor, l’Esquire di Springsteen.

‘Greetings from Besso’, Asbury Park per una notte

Lo Studio 2 della Rsi ospita questa sera il tributo dal vivo ‘Glory Day’. «La cosa che mi lega di più a lui – dice Daniele Tenca, uno degli ospiti, cantautore italiano che col Boss ci è cresciuto – è la sua credibilità nel raccontare i temi sociali e le difficoltà di vivere della gente comune, senza sconti, ma sempre con la voglia di provare a cambiare le cose». Forse per questo, dovendo citare un titolo, che nel suo caso è un album, allora è «’Darkness on the edge of town’, la rabbia, i rapporti col padre, la vita in fabbrica, l’idea di sognare comunque una terra promessa nonostante tutto, e combattere per arrivarci. Una scuola di vita in un disco. Non credo ci sia molto da aggiungere».

Grazie a Springsteen, il ticinese Johnny Duk, opening act della prima di ‘Blinded by the light’ al Palacinema, ha vissuto «una vera e propria redenzione». Il Boss, «artista autentico, privo di inutili sfarzi, semplice e che va diretto al cuore» è uno che «si è sempre rinnovato, sia come leader di quella macchina da guerra che è la E Street Band, sia come solista». In sintesi: «Il miglior performer rock di sempre».

Per la sezione ‘Springsteeniani acquisiti’, Leo Pusterla (Collettivo Terry Blue) ha scelto per stasera ‘Streets of Philadelphia’: «Perché al di là delle scelte stilistiche che si avvicinano molto alle sonorità che più vibrano in me, sono rimasto letteralmente folgorato dalla liricità drammatica, eterea e struggente di un testo che non ha bisogno di nulla, neanche della musica e dell’interpretazione, peraltro per niente sforzata, del Boss per camminare». Con Bignasca e i tre di cui sopra, tra i nomi annunciati nella Besso trasformata in Asbury Park (in diretta radio e streaming), anche Michael McDermott e Alex Kid Gariazzo.

 

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