Spettacoli

Base Terra intervista i Rockets: è in arrivo 'Wonderland'

Torna lo space rock: storia di una band di culto (non più argentata) e di un nuovo album con i bimbi al centro, raccontato dallo ‘storico’ Fabrice Quagliotti

"Message to you from the robotic race"
23 maggio 2019
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Domenica 13 luglio, Alassio, cittadina balneare in provincia di Savona nella quale per un adolescente del 1980 altro di meglio non c’è che il bagno in spiaggia o trascinare coetanee per i piedi e fare lunghe piste sulla sabbia, destinate al gioco delle biglie*. Nello stadio cittadino tutto è pronto per i cinque francesi dipinti d’argento che portano messaggi dallo spazio profondo, aventi come mittente la razza robotica. Suonano qualcosa che ancora oggi si fa fatica a definire semplice space rock; tutti aspettano ‘Galactica’, hit dell’estate che ancora oggi si fa fatica a definire “commerciale”.
Quando è finalmente buio, sfere e uova primordiali si schiudono sul palco fronte-tribuna, e in mezzo ai fumi e ai raggi laser, al suono di ‘One more mission’ (una cosa che tira ai Pink Floyd, ma che Pink Floyd non è) va in scena un’esperienza extrasensoriale, quella che per un dodicenne degli anni Duemila sarà forse la visione di Sasha Gray, ma per il suo coetaneo del 1980 fu il concerto dei Rockets.

Stanno tutti bene

Nel quarantennale di ‘Plasteroid’ – maggio 1979, un milione di copie, con dentro ‘Electric delight’ – domani esce ‘Wonderland’, il ritorno della band senza più la faccia d’argento (presentato oggi in anteprima al Mondadori Megastore di Milano in via Marghera). In realtà, i Rockets sono tornati umani «da almeno 12 o 13 anni» racconta alla ‘Regione’ Fabrice Quagliotti, tastierista che nella timeline della band sta tra il 1977 e il 2019 di ‘Kids from Mars’, singolo filo-Bowie che ha lanciato l’album in uscita. 

È un attimo, col componente storico davanti, diventare nostalgici. Ma Quagliotti dev’esserci abituato. Il fatto è che prima di cominciare dobbiamo toglierci una curiosità lunga quarant’anni: quindi, Fabrice, nessuno di voi è morto di tumore alla pelle per la vernice d’argento sulla faccia e il raggio laser non ha mai ucciso nessuno del pubblico? «Corretto. La vernice no. Il raggio laser... non ancora».

Se la ride, Quagliotti, che la leggenda metropolitana la conosce bene. Deve aver sorriso parecchio anche nel 1996: chi non fosse stato svezzato in tenera età dalla spaceband, infatti, potrebbe esserlo stato la notte in cui, in nome della dissacrazione del monolite ‘Festival di Sanremo’, gli Elio e le Storie Tese si presentarono in finale vestiti da Rockets cantando ‘La terra dei cachi’. «Come non avrei potuto ridere» dice Fabrice. «Il giorno dopo chiamai Elio, poi ci vedemmo a un loro concerto. Una bella cosa da parte di musicisti con i controattributi». Tributo doppio, quello degli Elii: «Il loro primo album si apre con ‘On the road again’», brano dei Canned Heat che nel 1978 fu il trampolino di lancio dei francesi.

Buon gusto extraterrestre

Se quello dei Kraftwerk è krautrock, quello dei Rockets potrebbe essere rockbaguette. Ma il termine non risulta, non avrebbe nulla di spaziale e la Rocketsmania è prettamente italo-russa. Però, «già nel 1975 Claude aveva un’idea di rock con tastiere e temi extraterrestri», continua Quagliotti (Claude è l’ex-produttore Lemoine, anche papà di Jordy, il bimbo di ‘Dur dur d'être bébé’).
Fabrice entra nei Rockets nel 1977, quando «Christian (Le Bartz, ex frontman, ndr) mise annunci in tutta Pigalle proprio come me, che cercavo un gruppo serio. Mi chiamò, ci trovammo alla Decca per le prove e fui promosso». Grazie alla CGD, i parigini sbancarono per anno nel Belpaese a colpi di vocoder, talk box ed elettroalchimie varie. «Eravamo avanti almeno 20 anni. Suonavo Mini Moog, Roland SH2, Solina, Odissey F. Mi ritengo un ricercatore del suono. Utilizzo ancora tastiere analogiche mescolate ai plug-in fino a che non trovo ciò che ho in testa. Oggi le potenzialità sono molte. Basta avere buon gusto».

Spazio ai giovani

I Rockets del 2019 sono, anche, John Biancale (voce), Rosaire Riccobono (basso), Gianluca Martino (chitarra) ed Eugenio Mori (batteria). Dentro ‘Wonderland’ ci sono «quarant’anni di stili diversi, Bowie, 10cc, Supertramp, Imagine Dragons, Linkin Park, Bob Marley, tutti cliché di un viaggio in salsa Rockets», per usare parole del tastierista. Il buon gusto non manca in questo che ruota attorno alla gioventù, aperto dalla superba title-track; c’è il momento rockets-vintage in ‘Rock ’n Roll Looser’ (con ritmica siderale inconfondibile), lo strumentale in ‘Nuclear Fallout’ e il singolo a presa rapida ‘Kids from Mars’. Il coro di voci bianche chiarisce il concept, come le parole scelte per presentarlo: “La Terra era un pianeta puro e sano. Sogno un pianeta così, ripulito. I bambini saranno la salvezza”.

Bambini che ai concerti dei Rockets non mancano: «Abbiamo un pubblico che va dai 10-12 anni fino ai 50-60enni. Chi ci ha conosciuti agli inizi avrà senz’altro fatto ascoltare i nostri dischi ai propri figli. E comunque mi accorgo che i giovani trovano il nostro sound innovativo». Giovani sono anche le copertine, Francesca Pastori per il singolo, Leonardo Festa quella di ‘Wonderland’. «Perché io devo lavorare con i giovani, che hanno una visione diversa, moderna». Nel loro invito a “tornare ad essere bambini, per salvare il salvabile”, chi ha amato i Rockets non si perda il video curato da Federico Bozzano, già art director di ‘Avatar’. Perché potrebbe ritrovarcisi.

* Spiegato ai millennials: una specie di Fortnite in cui tutti devono essere presenti nello stesso posto e nello stesso momento, altrimenti non ha alcun senso.


 

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