Spettacoli

Alla ricerca del senso dell’esistenza

Mr. Zimmerman ‘with his band’ sarà in concerto al Fevi di Locarno, lunedì 22 aprile (per chi non lo sapesse ancora)

Mr. Zimmerman nel 1963
21 aprile 2019
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Un grande poeta e un uomo alla ricerca del senso dell’esistenza. Chiuderemmo qui l’articolo, poiché queste poche parole ben delineano l’incommensurabile figura di Bob Dylan (al secolo, Robert A. Zimmerman). La semplice quanto incisiva definizione del Premio Nobel per la letteratura nel 2016, in mezzo allo sconfinato (e non siamo sicuri sia un’iperbole) oceano di contributi, è di Renato Giovannoli che ha pubblicato il saggio “La Bibbia di Bob Dylan” (edizioni Àncora) in tre volumi (1961-1978, le canzoni di protesta e la vigilia della conversione; 19781988, il “periodo cristiano” e la crisi spirituale; 1988-2012, un nuovo inizio e la maturità). Il saggio prende in esame testi e citazioni aprendo un’interessante via interpretativa della produzione dylaniana: le fonti bibliche quali imprescindibili chiavi di lettura della sua opera. Giovannoli è docente di filosofia al Liceo di Lugano, bibliotecario e ricercatore indipendente, nonché saggista nell’ambito degli “studi culturali”. Lo abbiamo intervistato prendendo occasione dal concerto di Dylan in calendario lunedì 22 aprile al Fevi di Locarno (alle 20), promosso da GC Events e da Abc Production.

Ci descrive il suo Dylan? Il mio Dylan, oltre che un grande poeta, è un uomo alla ricerca del senso dell’esistenza. La sua opera emerge nell’ambito della musica pop non solo per la sua qualità, ma anche per la sua sincera religiosità.

La bibliografia dedicata a Dylan è sconfinata, anche di analisi ed esegesi. Perché lanciarsi in un’impresa editoriale titanica come la sua? Perché un lavoro sistematico sulle fonti bibliche di Dylan non era ancora stato scritto e d’altra parte i pochi studi parziali sul tema rendevano evidente che la Bibbia non è solo la più importante tra le fonti di Dylan, ma anche il codice che permette di decifrare l’enigma della sua poesia. Molte delle canzoni più misteriose di Dylan non sono, come si potrebbe credere, meri esempi di surrealismo o di nonsense, ma acquistano significato se si confrontano con i testi biblici che ne costituiscono il “palinsesto”.

Il suo è un saggio analitico – anzi una vera e propria corposissima impresa – e conta tre volumi che seguono tre epoche cronologiche. Che cosa ci racconta di Dylan e del suo lavoro e lo fa da quale prospettiva? La prospettiva del saggio è soprattutto comparativa. Di fatto ho messo le lyrics di Dylan a confronto sia con la Bibbia, sia con testi letterari colti e popolari a loro volta ispirati dalla Bibbia. Un lavoro, come ha giustamente sottolineato, analitico e svolto per lo più in ordine cronologico.

L’analisi permette però di sintetizzare alcune narrazioni nelle quali la cronologia è superata in una più ampia visione storica. Una di queste storie è quella dell’uso che Dylan fa della Bibbia: dal Dylan “profetico” delle canzoni di protesta al Dylan beat e nietzschiano della metà degli anni Sessanta che cita la Bibbia in maniera irriverente; dal “rock biblico”, secondo la definizione dell’autore, dell’album John Wesley Harding del 1967, che attesta già una sua prima conversione, alle inquietudini spirituali degli anni Settanta che lo porteranno all’adesione a una chiesa evangelica e al “periodo gospel”; dalla crisi spirituale ma anche creativa e professionale seguita a questa esperienza, fino al Dylan della maturità, che afferma di professare una “religione delle canzoni” ma si riferisce soprattutto agli spiritual, ai gospel e ai blues, profondamente radicati nell’immaginario biblico.

Una seconda storia che emerge dall’analisi in chiave biblica dei testi di Dylan è quella dello sviluppo delle sue tecniche di composizione. Infine il mio saggio è anche una biografia spirituale di Dylan che, gelosissimo della sua privacy, nelle sue canzoni, a saperle decifrare, si apre in maniera inaspettata.

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