Spettacoli

Il nuovo cinema horror

Breve indagine sulle più interessanti novità che caratterizzano oggi i ‘film di paura’

'Auguri per la tua morte'
13 aprile 2019
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Non tutti lo amano: molti lo considerano, a torto o a ragione, un genere minore. C’è chi invece pensa che l’horror non abbia nulla da invidiare ad altri tipi di cinema: amanti del genere, vi rimangono fedeli negli anni, un po’ come chi si profes- sa appassionato di un genere letterario o musicale. Con il tempo, però, per soprav- vivere i generi (letterari, musicali, artistici o cinematografici) vanno incontro a contaminazioni, evoluzioni e ridefinizioni che, come succede nelle arti figurative, danno luogo a nuove sensibilità e nuovi stili. Innovazione e continuità non sono però necessariamente in contrasto. Ultimamente, per esempio, sotto la spin- ta della Blumhouse Productions (casa di produzione statunitense fondata nel 2000 da Jason Blum) il cinema horror ha vissuto un periodo di intenso rinnovamento che ne ha favorito il rilancio, grazie soprattutto a una sapiente miscela di innovazione e di fedeltà al genere.

Ad oggi, la Blumhouse ha prodotto una settantina di film. Più della metà appartiene al genere horror: Get out (2017), Split (2017), Glass (2019), Auguri per la tua morte (2017), The Visit (2016), La notte del giudizio (2013), Ouija (2016), Para- normal Activity (2007), Insidious (2010) sono alcuni esempi. Si tratta di film che, seppur diversi, rinviano a scelte, a punti di riferimento stilistici, e a orientamenti estetici ben precisi.

Novità, impegno, storie

Quali sono dunque le caratteristiche del nuovo cinema horror della Blumhouse? Innanzitutto, Jason Blum non ha avuto paura a puntare su nuovi nomi, facilitando di fatto l’emergere di alcuni talenti registici. In secondo luogo, spesso e volen- tieri ha scelto, un po’ controcorrente, di produrre film con un budget relativa- mente modesto. Sulla scia di una tendenza inaugurata da opere come The Blairwitch Project (1999), sovente questi film sfruttano sapientemente lo stile “falso documentario” (Ouija, Paranor- mal Activity, The Visit), elaborando situazioni e personaggi che ne valorizzano al meglio le potenzialità. In terzo luogo, la Blumhouse sostiene progetti che hanno generalmente una trama solida e articolata, mai scontata e banale.

Oltre a ciò, l’impalcatura narrativa di molti titoli della Blumhouse fa della profondità psicologica uno dei suoi punti forti, come dimostrano gli eccellenti Split e Glass, entrambi diretti da Night Shyamalan, così come Get Out di Jordan 

Peele. Oppure la trama si intreccia a questioni sociali, com’è il caso dello stesso Get out che, rimanendo nelle coordinate del genere horror, tematizza la questio- ne della discriminazione fra bianchi e neri. Insomma, per la Blumhouse una trama ben congegnata, convincente e socialmente impegnata conta tanto quanto gli stilemi del genere, ovvero gli effetti speciali, le atmosfere di angoscia, i momenti di crescente tensione e i colpi di scena che hanno fatto conoscere l’horror al grande pubblico. Alcuni dei film della Blumhouse non disdegnano neppure interessanti contaminazioni di genere, sulla scia di quanto proposto da Wes Craven nella serie Scream a partire dal 1996. Nel recentissimo ‘Ancora auguri per la tua morte’ del 2019 (sequel di ‘Auguri per la tua morte’) per esempio, non è raro che l’horror lasci spazio alla commedia demenziale e autoironica.

Un modello controcorrente

La fortuna della Blumhouse è legata, oltre al cinema horror, anche alla produzione di film appartenenti ad altri generi, alcuni dei quali illustri. Uno di questi è Whiplash (2014) di Damien Chazelle, pluripremiato e ulteriore esempio della fiducia che la Blumhouse accorda a un giovane regista e a un progetto con un budget ridotto. Oppure si potrebbe citare BlacKkKlansman (2018) di Spike Lee, opera che rimanda all’impegno, di cui si diceva, che la Blumhouse dimostra per le questioni sociali e politiche.

Con il senno di poi, si può affermare che la Blumhouse ha incoraggiato un tipo di cinema su cui forse non tutti, all’inizio, avrebbero scommesso. Joel Fioroni, gerente del Lux Art House di Massagno e grande appassionato, oltre che conosci- tore, di cinema, ci rivela come la Blumhouse, in fondo, rappresenti un’eccezione nella grande Hollywood. Racconta Fioroni che «a Hollywood nascono soprattutto i cosiddetti blockbuster, film commerciali che per la sola produzione costano centinaia di milioni di dollari. In mezzo a tutta questa enorme fabbrica di soldi, il fenomeno Blumhouse ha forse trovato una via alternativa. Non solo per quanto riguarda i film horror, ma anche altri grandi titoli sono nati grazie a un concetto innovativo, quello del low-cost o low-budget. Questo non vuol dire sottopagare gli attori, i tecnici, ecc., ma sem- plicemente concepire un’intera produzione con quello che si ha, cercando soluzioni alternative per spendere il meno possibile e per sfruttare al massimo le ri- sorse a disposizione. Film come Whiplash ad esempio, devono far riflettere. Il film, costato solo 3,3 milioni, ne ha incassati oltre 49, e ha entusiasmato critica e pubblico, vincendo ben 3 Oscar (su 5 nomination) e altri premi in tutto il mondo. Segno, forse, che non è per nulla detto che un film più costa, più è valido. Anzi, negli ultimi anni, grazie anche alle nuove tecnologie e alle apparecchiature di ripresa sempre più accessibili, si è dimostrato che con pochi mezzi, ma con grandi idee, si possono sbaragliare film- colossal costati una fortuna, rimettendo di fatto in discussione tutto il concetto produttivo dell’industria cinematografica fin dalle sue origini. BlumHouse, Netflix, Amazon, stanno davvero rivoluzionando le regole della produzione. La domanda è: Hollywood è pronta ad adattarsi e a trasformarsi con loro?».

La risposta la darà il tempo. Nell’immediato, vi segnalo che nelle nostre sale è approdato il recentissimo ‘Noi’ (vedi ar- ticolo sopra), il nuovo affascinante lavoro di Jordan Peele, già regista di Get Out. E, guarda a caso, nella produzione c’è lo zampino di Jason Blum.

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