Spettacoli

Qui, dove tutto è cominciato (intervista a Philipp Fankhauser)

Dall’infanzia nel Locarnese fino all'ultimo ‘I’ll be around’, registrato negli storici Malaco Studios. Martedì 19 febbraio al Teatro di Locarno

Philipp Fankhauser (foto: Cyrill Matter)
13 febbraio 2019
|

“Sir Phil, quando ti sei ripreso dal jet lag, siediti e ascolta il tuo disco. Non è solo il migliore che hai inciso, ma anche il migliore che ho prodotto”. Con questa benedizione di Dennis Walker – uno che ha scritto, suonato e prodotto musica per artisti del calibro di B.B. King e Robert Cray (3 Grammy vinti, 5 nominati) – Philipp Fankhauser è tornato da Jackson, Mississippi, dopo avere inciso il suo ultimo album ‘I’ll be around’ negli storici Malaco Studios, dall’omonima e altrettanto storica etichetta. Il jet lag, “inventato da Dio per punirci dall’esserci divertiti così tanto”, scrive Walker.

«Già quando stavamo registrando il primo o il secondo giorno – racconta Fankhauser alla ‘Regione’ – ho realizzato che stava succedendo qualcosa di unico. Da una parte la presenza di Dennis e di Wolf Stephenson, un idolo per me (coproduttore del disco, ndr); dall’altra il fatto di incidere in uno studio leggendario, che quasi intimidisce. Un posto nel quale hanno registrato artisti che amo come Johnnie Taylor, Bobby Bland e tutti quelli di quell’etichetta». E, a riprova dell’esperienza unica: «Generalmente delle canzoni che suoniamo in studio dal disco ne restano fuori 5 o 6, che poi suoniamo live. Questa volta le abbiamo incise tutte e 15».

‘Ho preso senza rubare’

Philipp, leggenda svizzera della musica, fa parte di quella ristretta cerchia di non americani cui il Blues ha conferito il certificato di autenticità. Cosa rara per chi vuole mettere piede negli Stati Uniti suonando la musica del posto. Fankhauser dice di doverlo a Margie Evans («le sue incisioni mi hanno cambiato la vita»), cantautrice blues e gospel della Louisiana. Un’amicizia, quella con Evans, confluita nel 1989 nell’album d’esordio dello svizzero intitolato ‘Blues for the lady’, dove la “lady” è la guest star: «Quando la incontrai nei primi anni 80 – racconta Philipp – mi disse: “Se vuoi essere autentico, se vuoi essere accettato, allora racconta le tue storie e non imitare quelli del Mississippi Delta, con i quali non hai alcuna connessione”».

Consiglio seguito alla lettera, e fino all’ultima nota: «Sarebbe irrispettoso – continua Fankhauser – assimilarsi alla vita tragica di chi abita quelle terre e che questa musica l’ha inventata. Io sono un bianco middleclass svizzero e con problemi molto diversi. Penso che con questo modo di mettere in musica i miei, di problemi, sia stato più facile per gente come Luther Allison o Johnny Copeland (un lungo sodalizio, durante l’ampia parentesi americana dello svizzero, durata sino alla scomparsa del chitarrista texano, ndr) capire che non li stavo imitando, ma che prendevo la loro musica, senza rubarla». La sintesi potrebbe essere «un prendere in prestito dichiarando gli originali, che per me sono sempre Albert King, John Lee Hooker. Io non sono un originale. Sono un originale rispetto alla mia musica. E stai pur certo che non mi sentirai lamentarmi perché devo spezzarmi la schiena sul Mississippi».

Sweet home Locarno

Fankhauser sarà al Teatro di Locarno martedì 19 febbraio alle 20.30, con il suo ‘I’ll be around’ unplugged (prevendita da Soldini in Piazza Grande, tel. 091 756 00 00). E Locarno non è un posto qualsiasi per il bluesman. «Ho ricevuto il mio primo bacio a Locarno, ho sentito per la prima volta il blues a Locarno, e quelle sono cose che non dimentichi». Philipp si spostò da Berna in Ticino nel 1975, all’età di 11 anni. Lui e la madre abitarono a Gordola per un po’, prima di stabilirsi a Locarno, sede dei suoi teenage years. «Ero quasi tutti i giorni a guardare e toccare le chitarre e a dare sui nervi ai gestori del Soldini». Sorride, Philipp, che a Locarno comperò la sua prima chitarra e, nel 1977, il suo primo disco. «Dico sempre che ho due patrie: una è Locarno, l’altra è Thun» (dove tornò nel 1982). Gli chiediamo com’è nata la passione blues, se è stata un luce come succede a John Belushi in ‘The Blues Brothers’. La cosa fu assai meno spettacolare, ma non meno ‘mistica’: «Mio fratello mi regalò il mio primo disco blues, poi ci fu un concerto al Dimitri a Verscio. Avevo 11 anni. Forse non era una luce, la chiamerei piuttosto una Offenbarung (rivelazione, ndr)».

Quando non c’era Google

Dennis Walker ha prodotto gran parte della discografia di Fankhauser. E Locarno, in qualche modo, ne è responsabile. «Il primo disco che comprai al Soldini nel 1977 fu ‘Been gone too long’’ di Lonesome Sundown» ricorda il bluesman, album prodotto da Dennis Walker e Bruce Bromberg. «Sai, ai tempi non c’era Google e si andava di disco in disco scoprendo i musicisti. Lonesome Sundown aveva lavorato con Phillip Walker (chitarrista texano, ndr), buon amico di Dennis. Da ragazzo pensavo che i due Walker fossero fratelli. Così quando nel ’94 chiamai Dennis per il mio album ‘On Broadway’, consigliato da Johnny Copeland, lui mi invitò a casa sua. Mi aprì la porta e io chiesi: “C’è Dennis?”. Lui rispose: “Sono io Dennis”. E io: “No, tu non puoi essere Dennis perché Dennis è il fratello di Phillip e Phillip è nero!”. Una volta smesso di ridere, Dennis mi disse: “Prima scriviamo qualcosa insieme, poi vediamo”». Appendice: «Quando ci siamo incontrati per ‘I’ll be around’, Dennis mi ha raccontato che quel giorno del ’94 mi chiese: “Ma sai quanto costo?”. E io: “No, ma ti posso pagare solo la metà”. E lui accettò. Ma io questa cosa non la ricordo».

Trentatré anni di musica

Tra un ricordo dei Memphis Horns (nel suo ‘His kind of blues’, 1996) e di una partita di biliardo con Otis Rush, si arriva al ‘33 Years Tour’, per celebrare nel 2019 gli anni trascorsi sul palco. Poi, il 13 dicembre, nuovo disco e nuovo tour. In mezzo a tanta musica, anni fa, Fankhauser trovò il tempo di sedersi sulle poltrone di The Voice of Switzerland, senza paraocchi. «Sono un appassionato di black music. Gladys Knight, Marvin Gaye, Al Green, Stevie Wonder, Ray Charles. E in qualche modo l’etichetta Malaco ha avuto influenze pop. Sono cresciuto con il blues tradizionale, e per me il punto più alto restano Muddy Waters, Lightnin’ Hopkins, B.B. King. Ma al mio ritorno in Svizzera dagli States, dopo aver conosciuto gente come Bobby Rush, Johnnie Taylor, che hanno fatto molto più dei 3 accordi e delle 12 misure standard, ricordo che ero confuso. Volevo rimanere il più possibile traditional, però mi piaceva anche quella ritmica alla ‘Members only’. E in questo nuovo disco ho trovato il modo di mescolare le due cose».

Aperto dalla splendida ‘Horse of a different color’, più rilassato del granitico ‘Home’ e con la parentesi ‘Big Ol’ Easy’ in cui Fankhauser pare James Taylor nelle sue divagazioni soft-funky, tutto il non tradizionale diventa tradizionale in questo ‘I’ll be around’. «Non posso cantare pop – conclude il bluesman – dove ci sono 3 o 4 voci una sopra l’altra. Canto con la mia voce, non faccio copy-paste (copia-incolla, ndr). Magari è un modo old-style di lavorare, ma le influenze, credimi, mi sono sempre piaciute».

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE